Il nome "Vermondo"

"Vermondo? Ma è il nome o il cognome?"  "Un nome?  Ma da dove viene?" Quante volte mi sono sentito dire frasi come queste da chi mi sentiva nominare per la prima volta!  Approfitto ora della potenza mediatica del Web per spargere per il mondo un po' di notizie sul nome Vermondo.

1) Perché mi chiamo Vermondo?
Molto semplice. Mio nonno si chiamava Vermondo.  A sua volta, il nonno ha preso il nome da un suo zio, Vermondo Valli, fondatore della soc. anonima "Vermondo Valli" che produceva saponi e cosmetici, tra cui la "gommina argentina" che permetteva a Peppino Meazza di avere sempre i capelli a posto.  Questo zio, con la ditta, aveva fatto su un po' di soldi, ed aveva aiutato finanziariamente il mio bisnonno Edoardo, orfano di padre fin da bambino e costretto a mantenere la famiglia facendo il fattorino di una libreria.  Gli aiuti del cognato gli permisero di studiare, ed è anche grazie a ciò che Edoardo Brugnatelli divenne poi uno dei più celebri librai milanesi del tempo (prima metà del Novecento).  Per riconoscenza chiamò suo figlio Vermondo. (La figlia di questo zio Vermondo sposò poi il cugino, e così mia nonna si ritrovò con un padre e un marito dallo stesso inusitato nome...).
(Vabbé, le storie di famiglia interessano fino a un certo punto, ma se volete curiosare, io non faccio che accontentarvi.)

Ritornando indietro nelle genealogie, ci ritroviamo comunque con lo stesso problema.  Perché il bisnonno Vermondo ebbe tale nome?  Probabilmente suo padre, Ismaele Valli, il postino di Pontida (in certo qual modo l' "intellettuale" del paese), era un appassionato di letteratura, e amava dare ai figli nomi -un po' bislacchi forse- che aveva trovato in opere letterarie e che gli erano piaciuti.  Oltre a Vermondo c'erano, per esempio, un Ariodante e un'Alvilda...

A quale opera letteraria si era rifatto per Vermondo?  Una tiratina d'orecchie a chi non ci è ancora arrivato.  Avete mai sentito parlare dell'Adelchi di un certo Alessandro Manzoni?  Orbene, uno dei suoi personaggi, un nobile longobardo, "fedele" (titolo feudale) di Re Desiderio, il più fidato, che non tradirà e resterà col suo re fino alla disfatta finale, si chiamava proprio Vermondo.  Addirittura, Vermondo è il primo personaggio in assoluto che parla (atto I scena I):

O mio re Desiderio, e tu del regno
Nobil collega, Adelchi; il doloroso
Ed alto ufizio che alla nostra fede
Commetteste, è fornito. All'arduo muro
Che Val di Susa chiude, e dalla franca
La longobarda signoria divide,
Come imponeste, noi ristemmo; ed ivi,
Tra le franche donzelle, e gli scudieri,
Giunse la nobilissima Ermengarda;
E da lor mi divise, ed alla nostra
Fida scorta si pose. I riverenti
Lunghi commiati del corteggio, e il pianto
Mal trattenuto in ogni ciglio, aperto
mostrar che degni eran color d'averla
Sempre a regina, e che de' Franchi stessi
Complice alcuno in suo pensier non era
Del vil rifiuto del suo re; che vinti
Tutti i cori ella avea, trattone un solo.
Ecc...
2) San Vermondo (13 febbraio)
Il nome Vermondo, a parte la possibile origine longobarda, ha anche qualche tradizione brianzola, essendo il nome di uno dei due santi protettori di Meda, i fratelli Aimo (o Aimone) e Vermondo.
    La tradizione vuole che due fratelli, i nobili Aimo e Vermondo Corio, essendo a caccia un giorno dalle parti di Meda, vennero affrontati da un branco di terribili cinghiali, che li costrinsero a cercare riparo sugli alberi.  Non solo, scalpitando e agitandosi alla base dei tronchi, gli animali selvaggi stavano per abbattere le piante, rendendo così sempre più precaria la situazione dei due fratelli, i quali fecero voto alla Madonna e a San Vittore di condurre, se si fossero salvati, una vita pia e dedita alla religione, promettendo anche di erigere un monastero.  Miracolosamente i cinghiali se ne andarono e i due fratelli tennero fede al proprio voto, fondarono il monastero di S. Vittore, ancora esistente, ed alla morte vennero santificati.  La festa dei santi è il 13 febbraio, che ancor oggi è celebrato a Meda.

Qualche tempo fa, navigando nel web, mi sono imbattuto in una pagina del Getty Museum dove è possibile trovare alcune pagine di un bel codice miniato contenente la storia dei santi Aimo e Vermondo .
L'autore delle miniature, Anovelo da Imbonate, era uno dei massimi nomi della miniatura alla fine del Trecento (la sua opera più famosa è il messale per l'incoronazione di Giangaleazzo Visconti del 1395).  Sembra che abbia miniato due copie identiche della vita dei Santi Aimone e Vermondo, quella del Getty Museum deve essere stata acquistata a Monaco a un'asta di Sotheby's il 28 febbraio - 1° marzo 1987 (primo compleanno di mio figlio!), mentre un'altra deve trovarsi al Castello Sforzesco (Trivulziana, MS. 509).
 

Nell'avita biblioteca ho trovato un antico libello :

Breve istoria di Meda e Traslatione de' Santi Aimo e Vermondo della nobilissima famiglia de' Corij milanesi con la loro vita. Scritta dal Dottore Teologo Emanuele Lodi, nativo del Borgo di Triuiglio, Diocesi di Milano. In Milano, per Gio. Battista Alciati.  MDCXXIX

Eccone qualche estratto :

Origine di Meda, & del Monasterio con la loro descrittione.
CAP. I.
Meda Borgo antichissimo discosto da Milano 14. miglia, come che ceda à moltissime altre terre del Ducato nell'ampiezza del luogo, & grandezza dell'habitato, à poche però cede nell'antica origine, nell'amenità, e vaghezza del sito: nella bontà dell'aria, per la clemenza del Cielo pura, e sana: nella magnificenza di alcune fabriche: nella moltitudine del popolo conforme alla sua capacità in qualche numero di persone nobili, & per le qualità loro riguardevoli; & finalmente (& questo è il principal ornamento, la maggior gloria, & primiera lode del Borgo) nel nobile, maestoso, celebre, e famosissimo Monastero, & corrispondente Chiesa di Sacre Vergini di nascita nobilissime, di santità di vita, & essatta osseruanza regolare ammirabili, di nome, & d'illustre fama per tutta l'Italia note, & di sacrosante Reliquie, & gloriosi Corpi richissime. (...)

Traslatione de gloriosi Corpi de Santi Aimo, e Vermondo Corij.
CAP. II.
(...)

Vita de gloriosi Santi Aimo, e Vermondo.
CAP. III.
Et per dar principio alla vita di questi Campioni: chi non sà che l'esser chiamato al seruigio di qualche gran Prencipe fù sempre è fauore, e gratia singolare stimata, la quale è poi maggiore, quanto è più nobile la seruitù, alla quale chi chi sia è inuitato, cosi nobilissimo fauore, e singolarissima gratia fù di quelli duoi Inuitissimi Cauaglieri Aimo, e Vermondo fratelli Milanesi della nobilissima, & antichissima famiglia de Corij, Conti di Turbigo terra vicina al Fiume Ticino, & Signori di molti altre Castella, quando N. S. gli retirò dalla schiauitudine di questo fallace mondo mentitore, all'attuale sua servitù destinandogli. Circa l'anno dunque dal parto della Vergine 776 fiorirono i due nobilissimi fratelli, i quali nel fiore della loro giouentù ritrouandosi ricchissimi de' beni di fortuna, vissero perciò anche molto alla grande, & essercitandosi nelle armi, & nelle altre attioni Caualeresche, & in somma godendo de' frutti della vanità, come per lo più sogliono fare quelli, che si danno al gusto delle commodità, e delitie mondane. Mà ecco che feriti poscia nel cuore da potenti dardi dell'Amor Diuino, con istraordinaria mutatione lasciato il mondo, del tutto si diedero à Dio, la cui conuersione fù con non men marauiglioso, che inusitato modo: di che si serui Dio per trapiantare queste nobili, e nouelle piante dal deserto del mondo; nel Celeste giardino. Attendendo dunque questi nobilissimi Cauaglierieri Aimo, e Vermondo (sì come è vsanza de Signori grandi) alla caccia, che frà i gusti, & piaceri mondani non tiene l'vltimo luogo, auuenne, che vn giorno nell'hora appunto dal Celeste influsso della Diuina gratia destinata à questi due Campioni di Christo, partitisi dalla loro habitatione accompagnati da nobile, e copiosa comitiva di Cortegiani, e partegiani loro, & con vna moltitudine di cani cercando luoghi deserti, inculti, & inhabitati, tanto s'inoltrorno che arriuati ne' colli, e boschi di questa Selue (già, come si è detto, anticamente dedicata à Medea) rimasero non solo amendue i fratelli lontani da tutta la loro compagnia; mà si abbatterono in duoi smisurati, e spauenteuoli cingiali vsciti all'hora auidi di preda, e furibondi da folti, e solitari boschi. Trouandosi gli smarriti fratelli abbandonati d'ogni humano aiuto: temendo di non restar misera preda di quei feroci, & arrabbiati animali, e diffidando di poter sostenere il loro assalto, & violenza, posero la speranza della loro salute nella fuga, pensando in questo modo di poter campare la ferocità delle bestie, e se prima soleuano essere cacciatori di fiere mettendole in fuga, pareua loro migliore espediente, percossi da gran paura, di fuggire. Et ecco, che fatti fiere cacciate dall'istesse fiere, non sì tosto giunsero à quel luogo, doue hora è fabricato il Monastero, posto sulla sommità della Collina, dove era vn picciol, & antico tempio dedicato al glorioso Martire S. Vittore, che scopertolo da lontano, à quello, come ad vna forte, & inespugnabile Rocca, ò ad vn sicuro asillo, per saluarsi ricorsero, tanto più vedendosi dietro alle spalle questi loro persecutori, i quali in breue erano per arriuarli. Quiui gionti, per loro scampo trouorno à canto il Tempio due gran piante d'Alloro (le cui radici insin hora si vedono pullulare nouelle piante, che sono tenute in gran preggio di quelle pie Religiose per la diuotione de Santi) sopra delle quali con ogni velocità, e prestezza ascesero per saluarsi, sperando a quella guisa di poter scampare la rabbia, e crudeltà di quelli arrabbiati animali. Saliti sopra, per vna parte si teneuano sicuri, sapendo che per natura i Cingiali non possono salire molto alto; mà dall'altra parte s'auuidero poi non esser del tutto fuori pericolo; percioche accortisi i feroci animali dello scampo loro, e di non potere isfogare la crudel rabbia nelle tenere carni di quei nobili giouanetti, dopo hauere d'ogn'intorno circondato gl'arbori ruggendo, & incrudelendo, maggiormente con li acuti, e torui denti, si posero à cauare la terra d'intorno per sradicarli, & estirparli; accioche cadendo essi, insieme cadessero li giouanetti misera esca del loro ingordo ventre. Vedendosi per tanto gl' affannati, & afflitti fratelli ridotti à si mal termine, & quasi irreparabile pericolo di vita per esser si strettamente assediati, & priui d'ogni humano soccorso: conoscendo la propria debolezza, e vedendo non poter loro giouar altro che il diuino souuenimento, humilmente fecero ricorso à quello, & all'hora (cosa miracolosa da notare) nello stesso ponto non sapendo l'vno dell'altro: fatto voto a Dio, alla B. Vergine, & al glorioso martire S. Vittore, se si poteuano liberare dal sourastante, anzi presentaneo pericolo, nel quale si trouauano di far quiui fabricare un Monastero in honore del Santo, con le proprie facoltà, che (come s'è detto) erano assai ample, & in esso dedicare, e consacrare se stessi à Dio.
 

D' alcuni miracoli, e gratie da Dio operate per l'intercessione de' Santi Aimo, e Vermondo.
Cap. IV.
(...)



Due ultime, piccole osservazioni di tipo personale, di nessun interesse per il grande pubblico.
1) In questa storia, l'avventura di S. Vermondo viene collocata nell'anno 776. Per un'incredibile coincidenza, diverse tradizioni relative alla famiglia Brugnatelli (sembra, basate su documenti storici), ricordano proprio quello stesso 776 come l'anno in cui il capostipite, Brenus, un nobile franco ferito in una battaglia contro i Longobardi, si sarebbe stabilito nella località di Corte Brugnatella.  Dunque sia il mio nome (longobardo) che il mio cognome (franco) risalirebbero al 776.
2) Il santo cui si affidarono Aimo e Vermondo, che in seguito gli dedicarono una chiesa e un monastero, è San Vittore, un santo di origine berbera (era infatti un soldato mauritano --cioè marocchino-- martirizzato a Milano).  Sembra quindi che da sempre ci sia un buon feeling tra i Vermondi e i Berberi.

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