Per la verità, in vita mia ho composto due soli versi in latino, un distico elegiaco. Ero infuriato con un certo prof. Arena che era stato mio esaminatore in un concorso universitario. La furia si incanalò in un'ispirazione poetica in latino, ed ecco il risultato.

 

Distico latino (contro il prof. R. Arena)

Quaeris cur nostro sit homullo nomen Arena?
Causam cognosces inspiciens cerebrum.

* * * *

Una traduzione

Per restare nell'ambito del latino, tempo fa mi è capitato di scoprire una sapida composizione in latino attribuita a mons. Giovanni Della Casa (quello del Galateo, anche se all'epoca della composizione probabilmente non era ancora monsignore; alcuni però l'attribuiscono a un certo Niccolò Secco), e in un momento di ispirazione ho anche fornito di traduzione l'episodio mitologico che qui riporto integralmente:

FORMICA Joannis Casæ

Dum Venus, & Veneri, positis, Mars gratior, armis
Gramineo fessus dormit uterque solo;
Irrupit tunicas Divæ formica latentes,
Et teneras rigido vellicat ore nates.
Icta Venus clamat: Somno Mars excitus arma                5
Corripit, & nudo nescius ense micat.
Aspiciens c¦lo, qui conspicit omnia, Ph¦bus
Est ratus in Venerem stringere tela Deum:
Convocat auxilio Superos. Descendit Olympo
Jupiter armatus; venit & alma Ceres.                10
Territa securo formica reconditur ano;
Atque iterans morsus, spernit ab arce Deos.
Flet Venus; educit morsu formica cruorem:
Viscera purpureo sanguine tincta rubent.
Quid facient Superi? Sunt ignea tela Tonantis                15
Irrita; Gradivi nil opus ense Dei.
Ecce Priapus adest. Solus tulit ille salutem:
Apta ministerio mentula sola fuit;
Quam Deus hortorum veniens dum fixit in anum,
E culo hærentem traxit ab ore feram.                20
Candida quæ fuerat, Veneris madefacta cruore
Mentula purpuream servat in ore notam.
Sparsa cruore suum mutat formica colorem;
Hinc rubet, & generi permanet iste color.
Hinc primum ignotas sedes remeasse Priapus                25
Fertur, & aversæ gaudia f¦da Deæ.
Rubraque nunc etiam placidas formica latebras
Intrat, & immotas non sinit esse nates.

LA FORMICA
di Giovanni Della Casa (Traduzione di Vermondo Brugnatelli)

Mentre Venere dorme e il suo bel Marte
Deposte l'arme, esausti, su di un prato;
Penetra la formica della Diva
Nelle riposte vesti, e con il morso
Duro le molli natiche accarezza.
Grida colpita Venere: dal sonno
Marte riscosso l'arme afferra e osserva,
Snudato il ferro, senza ben capire.
Dal ciel guardando Febo ognor presente
Pensa il Dio ferir Venere: al soccorso
Chiama i Numi. Discende dall'Olimpo
Giove armato e insin Cerere nudrice.
Impaurita si cela la formica
Al sicuro nell'ano; e dalla rocca
Ripete i morsi e degli Dei si beffa.
Lacrima Vener; fuoriuscir fa il sangue
La formica col morso: e del vermiglio
Umore tinte, rosse son le carni.
Che far posson gli Dei? Son van gli strali
Del Tonante ed il ferro del Gradivo.
Ecco Priapo; il sol che la salvezza
Rechi: la verga, sola all'uopo adatta;
Il Dio degli orti, fittala nell'ano,
Dal culo estrae la fiera appesa in punta.
Da bianco ch'era, dopo che s'è intriso
Di Venere nel sangue, una vermiglia
Tinta conserva sulla punta il cazzo.
Muta il colore la formica, sparsa
Di sangue; ond'ell'è rossa e la sua stirpe.
Donde si dice per la prima volta
Aver scoperto Priapo sedi ignote
E nuove gioie della Dea riversa.
Mentre ancor oggi la formica rossa
Entrare suole in placidi recessi
E le natiche in pace star non lassa.

 

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