Giro Cicloturistico delle
Alpi Marittime
(Estate 1976)
Diario di viaggio del CICLASPIS
nelle ALPI MARITTIME (1976)
[redatto dall'incaricato V. Brugnatelli]
Partecipanti:
Giorgio Ceffali, presidente onorario
Fausto Brugnatelli, anziano guida
Vermondo Brugnatelli, anziano guida
Enrico Groppo, promessa
Roberto Marchesi, anziano guida
Paolo Moretti, anziano guida
Pietro Moretti, anziano guida
Mario Natale, primino
Giovanni Tamagni, anziano guida
Domenica 15 agosto 1976
MILANO-Carbonara Scrivia, km. 86,5
La partenza, prevista per le 7, avviene in realtà
alle 8.30 perché solo in Piazza Wagner Mario si accorge che il
suo portapacchi non ha speranza di funzionare decentemente e va sostituito,
e Giovanni si decide a cambiare un copertone completamente liscio.
Il cielo, già completamente coperto di nubi,
va incupendosi sempre di più, e così già prima di
Valleambrosia siamo costretti a rifugiarci sotto la tettoia di un distributore
chiuso, per ripararci dai primi scrosci di pioggia. Approfittiamo della
sosta forzata per perfezionare le succitate modifiche dei mezzi meccanici.
La marcia riprende e viene interrotta più volte a seconda
della maggiore o minore intensità delle precipitazioni.
La media è forzatamente molto bassa. Consumiamo
un frugale e rapido pasto sotto la tettoia di un fienile nei pressi di
Tre Re. Nel pomeriggio le cose non cambiano: è destino che il ferragosto
anziché essere la festa del solleone sia caratterizzato da pioggia
ininterrotta.
Oltretutto, ad un certo punto il primino si distingue
ancora dimenticandosi il cappello in un'osteria che ci è stata
di rifugio e tornandovi, a cercarlo, dalla tettoia di un distributore,
nostro rifugio successivo.
Oltrepassata Tortona, gli scrosci si fanno sempre più
forti e frequenti, costringendoci a trovare riparo in una casa abbandonata
sul cui pavimento --pulito ancorché duro-- stendiamo la paglia
che un contadino abitante lì vicino ci concede. Pastasciutta comunitaria
e albicocche dono del contadino di cui sopra rallegrano la serata dei
cicloturisti piuttosto depressi da un esordio così umido.
Lunedì 16 agosto 1976
Carbonara Scrivia-P.so "dei Martiri", km. 45,1
Alla mattina, tempo ancora di quella roba là.
Restituiamo al contadino la balla di paglia che ha attutito il duro del
pavimento durante il sonno, e questi, al di là di ogni previsione,
ci dona due litri di vino, confermando la convinzione dei più credenti
che la mano di Don Orione ci protegga dopo che siamo passati davanti al
suo santuario di Tortona.
La partenza ha luogo tardi, per via della lentezza
indotta dallo scoraggiamento per via del tempo. Nelle prime salitelle
Vermondo scopre che due corone della ruota libera rifiutano ostinatamente
di mantenere la catena nella sua sede, ed alla prima sosta a Gavi, dove
tutti i negozi compresi gli alimentari sono chiusi, riesce a scomodare
un ciclista che, lavorando nel retro del negozio, rabbercia alla bell'e
meglio le corone incriminate, che presentavano vistose ammaccature. A
Voltaggio (sede di tappa prevista per il giorno prima) mangiamo dopo aver
trovato un alimentari aperto (sempre sul retro). Luogo del pasto è
un piazzale con panchine e parco giochi davanti ad una grotta contenente
una rigogliosa sorgente di profumata acqua solforosa (ma noi, oltre al
vino, berremo solo acqua attinta ad una fontanella del paese).
Nel pomeriggio il tempo pare tendere --con la dovuta
pudenza-- ad un vago miglioramento. E' così con rinnovati entusiasmi
che affrontiamo le prime vere salite. E sono queste salite che spengono
ben presto ogni velleitario entusiasmo dei nostri cicloturisti. La salita
è spesso alternata a discese, e la strada, per recuperare quota,
aumenta le pendenze in maniera forse eccessiva. I passi per arrivare a Campo
Ligure sono solo due, ma si fanno sentire sulle gambe dei cicloturisti,
che si identificano nei "Martiri" cui fa allusione più di una stele
lungo la strada (rimandando però forse ad episodi della Resistenza).
A coronamento di una giornata perfetta, a Giorgio si
divide in due la catena, per la caduta di una maglia che viene ritrovata
e messa a posto. Nel tardo pomeriggio, sul culmine della seconda salita,
decidiamo di porre la tenda in un verde prato in posizione panoramica.
Funghi belli e grossi reperiti nel prato stesso, uniti ad altri sughi,
forniranno il condimento ideale per la seconda spaghettata del giro.
Martedì 17 agosto 1976
P.so "dei Martiri"-P.so Faiallo, km. 24
La sveglia ci sorprende ammantati da una nube di nebbia.
Teli bagnati. Rapido smontaggio della tenda, per avviarci e toglierci
dalla zona pericolosa. Pian piano, però, la nebbia si dirada e già
da Capanne Marcarolo (dove latte fresco e formaggella locale costituiscono
la nostra parca colazione) possiamo cominciare ad attenderci il meglio.
Una guardia forestale interpellata all'uopo ci fornisce indicazioni su strade
astute per evitare di scendere subito a Campo Ligure. I saliscendi sono
piuttosto marcati, ma l'ambiente, goduto per la prima volta senza incubi
di pioggia imminente, ci ripaga a sufficienza. Segnalabile in questi frangenti
il rinvenimento di una allegra famigliola di Lepiota Procera, alias
"mazze di tamburo" o "ombrelloni", che saranno il dessert del nostro pasto.
Spese a Masone e rapida ascesa al passo del Turchino (m. 532), squallidotta
ma fortunatamente breve. Al passo veniamo --con reticenza-- informati
della presenza di una fonte dopo un paio di chilometri sulla strada del
Faiallo.
Si tratta di un percorso altamente panoramico che seguendo
la cresta alla destra del Turchino domina Genova e dintorni da un'altezza
variante tra i 600 e i 1000 metri. Col sole che si è messo a picchiare
follemente e la pendenza che non scherza, non riusciamo in verità
a concentrarci a sufficenza su questo fatto e a trarne la dovuta gaudenza.
Per fortuna all'improvviso, a una curva, ci si presenta
maestosa l'immagine di un sacrario in onore di 59 martiri della Resistenza
con annessa cappelletta e rubinetti (di cui solo uno ha un'acqua veramente
degna di menzione). Ogni parta è sbarrata, ma non vi badiamo e --stesi
al sole i teli, bagnati dal mattino-- mangiamo nell'angusto pronao della
cappella.
Quando bene cominciamo ad abituarci al sole e ci rosoliamo
ai suoi sapienti raggi, ecco da ogni dove farsi avanti nuvole e nuvolone
sempre più cupe e brontolanti. Corriamo a riparare le bici sotto
una tettoia e ci stringiamo in attesa del temporale imminente. Dopo ore
di attesa, lo scroscio liberatore. Ritorna un mezzo sereno quando ormai
il pomeriggio è mezzo rovinato. Ripartiamo alla volta del passo per
guadagnare quota. Ci fermiamo quasi in cima in prossimità di una
favolosa sorgente in terreno verde e piano, con l'unico particolare di numerose
pallottoline aromatiche di provenienza ovina.
A tenda montata, abbiamo l'ultimo brivido della giornata,
con l'avvistamento di un estesissimo gregge di aspetto biblico che nel
suo spostamento per fortuna non travolge bici e attendamento pur passandovi
proprio vicino. Enrico si guadagna infine una doppia dose di risotto andando
a bici scarica fin oltre il passo per procurare 5 litri di vino che riscalderanno
la fresca serata dei nostri, che godono dall'alto della visione di Genova
illuminata.
Mercoledì 18 agosto 1976
P.so Faiallo - Moretti , km. 34
Il sole sorto dal mare illumina il Tendo entro il
quale 9 cicloturisti increduli pensano che sia impossibile che il cielo
sia completamente sgombro di nubi! Ringalluzziti, siamo sul passo in un
fiato (p.so Faiallo, m.1061, v.foto), e diamo un addio alla vista
di Genova.
I luoghi, da aspri ed assolati, diventano piacevolmente
verdi ed ombreggiati. Dopo breve discesa, su segnalazione di Giorgio,
ci sparpagliamo sul fianco del monte alla ricerca di granati o simili,
imbattendoci solo in una vipera.
Abbandonati i luoghi infestati dal temibile ofidio,
caliamo su Vara Inferiore, da dove, attraverso un'amena stradicciola che
sale e scende sempre seguendo creste panoramiche, ci portiamo prima ad Acquabianca
e poi a Martina Olba, dove facciamo le spese. Qui ci viene decantata
una fontana che trovasi un paio di chilometri fuori strada. Ci rechiamo
colà per consumarvi il nostro pasto, e quivi --oltre a uno schiamazzante
gruppo di adolescenti in vacanza coi motorini-- incontriamo l'ometto dell'acquedotto,
che ci conduce a visitare gli impianti della fontana e si profonde in
spiegazioni dettagliate (ancorché non richieste) su tutte le condutture
e serbatoi della zona. L'apice è raggiunto quando --insistendo
nell'affermazione di conoscere Milano e Monza come le sue tasche-- ci
parla di sue poco credibili battute di caccia all'orso ed al coccodrillo
nel parco della Villa Reale!
Nel pomeriggio la salita per giungere a Palo vede spiriti
molto competitivi (dopo una lunga disputa Giorgio-Giovanni, per via di
uno "scambio ineguale" tra ferri e materiale da cucito).
Un breve "scendi"(fino a Palo, dove si concludono le
spese), seguito da un discreto "sali", (v.
foto) ci porta a Moretti, sede di tappa, attraverso una
valle verdissima ed un arido altopiano. La serata di follie nel paese
rispetta il competitivo che era emerso nel pomeriggio, con gare di corsa
e partite a calcetto.
Giovedì 19 agosto 1976
Moretti - Montenotte Superiore , km. 49,5
Vista la brevità delle tappe precedenti, non
sempre condizionate solo dagli agenti atmosferici, si è deciso
di concedere una sola ora e mezzo tra sveglia e partenza. L'esperimento
pare riuscire, e di buon'ora stiamo già pedalando su e giù
per una cresta tra colli e monti verdeggianti. Da Ponzone attraverso una
rapida e sinuosa discesa ci portiamo sul fondovalle del torrente Erro che
cominciamo a risalire, dapprima con poca pendenza, poi più marcatamente
dopo Mioglia. (v. foto) La sosta del
mezzodì ha luogo sui bordi del torrente nel quale troviamo il modo
di fare un gradevole bagnetto.
Nel pomeriggio continuiamo a risalire verso Montenotte.
E qui, in un sito pregno di memorie napoleoniche una proposta oscena
di Giorgio trova consenziente la maggioranza dei nostri, annullando tutti
i buoni propositi del mattino: all'alba delle 5 decidiamo già di
fermarci su di una insellatura erbosa che domina la valle ed il mare (v. foto). La nostra coscienza viene frettolosamente
tacitata con un piatto di salamelle (che viceversa non taciteranno troppo
alcuni stomaci, anche illustri).
Venerdì 20 agosto 1976
Montenotte Superiore - Melogno , km. 38
Anche oggi si parte presto, più del solito
perché in mancanza del latte procrastiniamo la colazione. Rechiamo
con noi abbondanti pere depredate da alberi vicini. Naturalmente le
previste fattorie non si trovano, e riusciamo a reperire latte e focaccia
solo ad Altare, dove facciamo anche le spese e Giovanni ci lascia per
andare --tramite il Colle di Cadibona-- in Riviera a trovare la sua bella.
Ci addentriamo poi per un'amena valletta in leggera
risalita e, dopo Màllare, prendiamo a salire sempre più
decisamente in terra battuta fino a sbucare in un luogo ove sorge una
cappelletta, aperto sulle valli sottostanti e sul mare, in una zona denominata
Pian dei Corsi. E' uno spettacolo favoloso e non perdiamo l'occasione di
farci un pasto panoramico. (v. foto)
Restiamo abbastanza a lungo, e nel pomeriggio riprendiamo
la via in costa, con una pendenza più pedalabile, alla volta del
Colle di Melogno. Sulla strada, Giorgio e Roberto si esibiscono in gare
di destrezza "chiudendosi" e spingendosi, con la logica conseguenza di una
caduta, e il telaio di Roberto insaccato e la ruota anteriore di Giorgio
tridimensionale. Perso un po' di tempo per i rabberciamenti di bici e persone,
si continua a percorrere la strada fino a poco dal colle (v. foto), in un luogo panoramicissimo
su cui piantiamo la tenda, sia pure con qualche bonario battibecco coll'abitatore
del terreno vicino, geloso del panorama.
Sabato 21 agosto 1976
Melogno - Verezzi , km. 66,4
Sloggiamo presto e in silenzio per non consumare troppo
il paesaggio al proprietario della "Cà del Mago". In un colpo
di pedale siamo sulla cima del Colle di Melogno
(m. 1028), con arrivo attraverso una fortezza decrepita ma
scenografica.
Nella discesa verso Calizzano è d'obbligo la
ricerca dei funghi, che ovviamente non vengono quasi trovati: "non è
ancora suonata l'ora", come sentenzia Giorgio.
A Calizzano la sosta si prolunga, vuoi perché
Giorgio cerca (invano) un ciclista che gli centri bene la ruota e Mario
un calzolaio che gli ripari le borse, vuoi perché il luogo scelto
per la sosta è davanti ad una pasticceria. Nella tarda mattinata
completiamo la discesa di questa vallata e intraprendiamo la risalita
di un'altra, parallela, che ci riporterà a Melogno.
Il caldo imporrebbe un bagnetto, ma lungo il torrente
non ci si può fermare, perché è meglio guadagnare
quota per il pomeriggio; sul lago (artificiale) di Osiglia non ci sono
posti, e così all'alba delle 2 rinunciamo (tranne Roberto, che
scomparirà nel bosco ricomparendo dopo parecchio tempo completamente
lavato).
Ci attestiamo presso un'antica fonte di cui un cartello
decanta le virtù, ma che a noi sembra solo un po' scarsa di acqua.
Nel pomeriggio, dopo qualche breve rampa, ci portiamo su una costa panoramica
(panoramica, beninteso, quando non c'è foschia, il che non è
il nostro caso), lungo la quale la strada non accenna a diminuire la pendenza,
salvo poi arrivare a Melogno in discesa. A Melogno, tra boschi
aromatici e ceneri di incendi recenti, iniziamo la picchiata che ci porterà
con balzo repentino alla bassa quota di Verezzi, minuscolo borgo a picco
sul mare. Qui, tra gli ulivi, davanti ad una cappella del 1600, ascoltando
in lontananza il concerto di un campanile in vena di esibizioni, terminiamo
la giornata davanti ad un piatto di tagliatelle col pesto e un bicchiere
di sano "nostrale".
Domenica 22 agosto 1976
Verezzi - Toirano , km. 18
Giornata di mezzo riposo con sveglia tardi e discesa
al mare. A Pietra Ligure facciamo la spesa, prendiamo la Messa (detta
da un prete evidentemente diplomato in recitazione), incontriamo amici di
Milano, e --dulcis in fundo-- facciamo il bagno.
Per la verità, l'impatto con la civiltà
del Ferragosto da parte di cicloturisti abituati ai severi silenzi ed
alla altera compostezza delle vette alpine è piuttosto traumatizzante.
Perciò --a parte qualche tentativo di abboccamento con un gruppetto
di graziose adolescenti-- ci limitiamo ad un rapido bagnetto, una breve
esposizione al sole, e via alla ricerca del posto per mangiare, che --ormai
è tradizione-- viene scelto sempre più tardi.
Alle due passate, sul piazzale antistante l'ingresso
delle grotte di Toirano, disperati, sbocconcelliamo qualche boccone prima
di dedicarci alla visita delle grotte stesse. Qui facciamo conoscenza
con un fraticello, il quale, notando i cicloturisti, con mossa agile e
in un primo momento sconcertante solleva la tonaca mostrando braghette
da ciclista e maglia della "Bianchi". Pare che fosse amicone di Coppi e
che questi gli abbia donato la bici con la quale tuttora va scarrozzandosi
per i luoghi più svariati. Tra l'altro questo fraticello, oltre a
mostrarci l'ingresso della chiesa di Santa Lucia (ricavata all'imboccatura
della grotta omonima), ci consente, grazie ad amicizie, di ottenere i biglietti
per la visita completa delle grotte che se no, data l'ora e l'afflusso
di turisti, ci sarebbero stati negati.
Terminata la visita, comincia a piovere, ed il Ciclaspis
mostra una volta di più la sua perfetta organizzazione: mentre
alcuni occupano un baracchino lungo la strada per farvi da mangiare, altri
accorrono nel luogo prescelto montandovi il Tendo a tempo di record, proprio
prima dei veri scrosci. Mangiamo sotto la tettoia del baracchino, e solo
a tarda notte, a pioggia finita, ci trasferiamo nella tenda che ci attende
bella e asciutta.
Lunedì 23 agosto 1976
Toirano - Colle di San Bartolomeo
, km. 43,4
Sveglia tardi e lenta preparazione, ancora impigriti dal "riposo" del giorno
precedente, oltre che dal fatto che il giorno prima aveva smesso di piovere
molto tardi ed eravamo andati a dormire solo dopo mezzanotte. Perdiamo
ancora più tempo ad Alassio, dove Giorgio trova finalmente chi
gli centra definitivamente la ruota. Solo verso mezzodì possiamo
attaccare la salita che ci allontanerà definitivamente (senza peraltro
alcun rimpianto) dalle spiagge. Sia il sole che la pendenza
picchiano, ma i nostri eroi non disarmano e giungono a mangiare dove la
strada comincia a seguire una cresta, senza quasi più salire. Così
nel pomeriggio si può godere pedalando in scioltezza su e giù
per crinali ricoperti ora di ulivi, ora di querce e castagni.
Dopo Testico, altra breve rampa e nuovo percorso in
costa per giungere quasi inavvertitamente al Passo
di Ginestro (m. 677).(v. foto)
Scendiamo poco, fino a raggiungere lo stradone che
porta al Colle di San Bartolomeo (m. 620),
dove la ricerca del posto per la tenda è un po' elaborata,
ma in conclusione soddisfacente. Una passeggiata serotina a piedi
con ritrovamento lucciole ed euforia di Giorgio causa vino generoso conclude
una tappa tutto sommato di poca fatica e molta gaudenza.
Martedì 24 agosto 1976
Colle di San Bartolomeo - Passo Ghimbegna , km. 47
Speravamo di partire presto, ma il solito contrattempo
consiste oggi in una foratura di Roberto, per cui prima delle 9 e mezza
- dieci non si parte. La strada sale in lieve pendenza e tra grandi panorami
fino a S. Bernardo di Conio, da dove due chilometri di salita più decisa ci portano al Colle d'Oggia (m. 1167),
in una ridente conca prativa.(v. foto) E' già quasi ora di colazione, ma possiamo fare provviste solo al
paese di Carpasio, e posto per mangiare lo troviamo solo a Badalucco. Siamo
così in fondo alla discesa, e nel pomeriggio abbiamo tutta la
salita del Ghimbegna davanti a noi.
Il sole picchia, ma rompiamo gli indugi e saliamo.
Tra distese immense di olivi, ci arrampichiamo sui fianchi della montagna.
Le fontanelle sono abbastanza scarse, ma una nube pietosa (e per la verità
un po' minacciosa) ci separa dal sole che picchia. Si fa tardi. Cerchiamo
un posto dove mettere la tenda e come al solito tale ricerca dura a lungo,
fin quasi al passo, da cui ci separa solo un breve tratto di discesa.
Una pastasciutta comunitaria sotto il cielo stellato,
al lume della lanterna, ci ritempra dalle fatiche di questa tappa dai due
passi per complessivi 1.500 metri circa di dislivello.
Mercoledì 25 agosto 1976
Passo Ghimbegna (m. 898) - Colla
Langan , km. 32
La mattina, prima di partire, viene rinvenuto un Boletus
Edulis che desta nei nostri vanagloriose speranze di ottimi ritrovamenti.
Ci sparpagliamo perciò per il bosco, col solo risultato di perdere
parecchio tempo. Aggiungendo una lunga sosta a Baiardo (non sono previsti
altri paesi con negozi) e la "discesa" su Castel Vittorio che è
in terra battuta piuttosto sconnessa, otteniamo che siamo sul fondovalle
a mezzogiorno e mezzo. Visto che la salita sarà lunga, la attacchiamo
già con decisione, fermandoci ad un terzo, dove un vecchio palazzo
con tanto di sale affrescate e di cappella privata funge da bar-ristorante.
Quivi, tra fresche frasche, mangiamo su autentiche sedie e tavolini, tra
l'ammirazione di proprietari ed avventori. La calorosa accoglienza si traduce
anche in un eccesso di premure: due nuvolette lontane vengono giudicate
micidiali dagli esperti locali, che ci invitano caldamente a sostare al sicuro.
Perdiamo così quasi tutto il pomeriggio nella vana attesa di un acquazzone
che tarda, ed ascoltando gli sproloqui di un prete del posto fanatico di
erboristeria.
A un certo punto, rompiamo gli indugi e, rivolti verso
il passo, risaliamo in sella. E' dura, ma --confortati da un clamoroso
ritrovamento di funghi (sconosciuti ma, pare, commestibili) e da un poderoso
fontanone dedicato alla Regina Margherita-- arriviamo, sul tardi, alla
panoramica Colla Langan (m. 1127), dove
prati a profusione attendono solo l'installazione del Tendo.
Giovedì 26 agosto 1976
Colla Langan - San Bernardo di Conio , km. 27,6
Oggi siamo tutti d'accordo sulla necessità
di non perdere tempo. Sveglia presto, rapida messa in marcia, discesa
senza soste a Molini di Triora e spese in tempo fissato. Arriviamo
così --per la prima volta in questo giro-- ad attaccare abbastanza
presto nella mattinata la salita al passo di Teglia. E' anche questa una
strada in forte pendenza e col solito dislivello di quasi 1000 metri,
ma per di più ha anche la prerogativa della terra "sbattuta", cioè uno sterrato in pessimo stato.
Cominciamo sudando e sbuffando, con la visione della
strada che faremo davanti agli occhi grazie alla conformazione della
salita, ma pian piano, con soste alle fontane e per motivi meccanici (foratura
di Roberto), finiamo per ritrovarci in cima (Passo
di Teglia, m. 1387) per l'ora di colazione. Siamo stanchi e
possiamo concederci poca acqua (in cima non ce n'è), ma un frugale
pasto all'ombra dei noccioli ci ritempra quanto basta per intraprendere
--con buoni risultati-- una ricerca di funghi nei boschetti del versante
nord.
Essendo in clamoroso anticipo, ce la prendiamo comoda,
e un po' dopo che abbiamo cominciato a scendere, all'inizio dell'asfalto,
decidiamo di portarci, tramite una strada in piano, a S. Bernardo di Conio,
da cui eravamo passati martedì e che ci era piaciuto per
i prati e per la sua posizione tranquilla e panoramica. Poco prima del paese
un maestoso fontanone circondato da verdi prati invitanti costringe i nostri
a porre colà la tenda, per gustarsi con ogni comodità il risotto
coi funghi. (v. foto)
Venerdì 27 agosto 1976
San Bernardo di Conio - Colle di Nava , km. 33
Nonostante tutte le raccomandazioni della vigilia,
non riusciamo a partire velocemente. La discesa è rapida per 7/8
dei nostri: c'è una persona che notoriamente ama stringere i freni,
guardarsi intorno, far fotografie, bere alle fontane, ecc.
Morale, arriviamo già tardi a Pieve di Teco,
ultimo paese dotato di negozi prima di un'escursione di tre giorni per
le montagne, senza speranza di rifornimenti. Spesa grossa e cambio dei
quattrini (scenderemo in Francia) fanno sì che cominciamo la salita
a mezzogiorno, sotto il sole cocente, sullo stradone percorso da camions
sbuffanti. Ci fermiamo quasi subito ad Acquetico, in una piazzetta raccolta
all'ombra di un olmo gigantesco, nella speranza di intaccare in modo consistente
le pesanti riserve alimentari, per non portarle integre su per la salita.
Nel pomeriggio, col cielo che va paurosamente rannuvolandosi, ci portiamo
alla svelta sulla cima del Colle di Nava (m.
941), dove l'odor di lavanda è ormai solo un ricordo.
Vista l'incertezza del tempo e la presumibile boscosità del tratto
che ci attende, decidiamo di stabilire la tenda in un prato che in breve
si riempie di bambini di una colonia scalcinata, interessatissimi (fin
troppo) alle bici ed all'attendamento.
Sabato 28 agosto 1976
Colle di Nava - Colle Garezzo , km. 19
Alla sveglia ritroviamo i teli bagnati ed un'umida
foschia che non si lascia attraversare dal sole mattutino. Ovvio: oggi
dobbiamo cominciare un percorso d'alta montagna senza molte possibilità
di ricoveri in centri abitati, ed il brutto tempo non poteva mancare. Fiaccamente
ci mettiamo in viaggio per una strada che è prevista in cresta,
ma prima di giungere sulla cresta presenta quattro chilometri ad una pendenza
abbastanza mostruosa.
Finalmente percorriamo la parte "panoramica", quasi
completamente nella nebbia, e per rifarci ci diamo a fruttuose raccolte
di funghi. Arriviamo a San Bernardo di Mendatica all'ora di colazione.
Entriamo in un bar a mangiare, bevendo vino locale e seguendo al caldo l'evoluzione
del tempo. Piove per un po', finché in una schiarita i nostri, scalpitanti,
osano partire verso l'ignoto.
Sono 7 chilometri di dura salita in dura terra "sbattuta"
della peggiore, alla volta del Colle di Garezzo
(m. 1.801). Dopo qualche chilometro disumano tra le nebbie,
girata una curva vediamo in un'ampia schiarita prati, malghe e strada da
fare (in minor pendenza!). Questo ci risolleva, e in breve giungiamo in
cima. Tutti contenti, osserviamo il panorama, ci copriamo perché
fa freddo e cerchiamo il posto per la tenda.
Qui abbiamo la prima delle delusioni: non esistono
12 mq. in piano. Toriamo indietro nella ricerca, perché il versante
sud appare semplicemente impossibile. Arriviamo fino alle malghe,
e --scoperto che non c'è nemmeno lì posto in qualche fienile
(o comunque ci viene ospitalmente taciuto) -- risaliamo alla ricerca di
un posto suborizzontale che "alla disperata" era stato giudicato buono.
E' oramai buio, facciamo da mangiare in tenda e speriamo
che non si metta a piovere.
Domenica 29 agosto 1976
"Riposo" (sic) al Colle Garezzo
Ovviamente le nostre speranze vengono quanto prima
disattese. Dopo aver cominciato nella notte, la pioggia persiste all'ora
della sveglia. Mario, incurante di tutto, esce sotto la pioggia e parte
per tornare a Milano, come preventivato, abbandonando gli amici nella loro
prigione di tela.
La tragedia è sempre la stessa di quando piove:
è necessario non toccare i teli, che se no cominciano a sgocciolare
nel punto di contatto.
Lente passano le ore; la situazione sul fronte orinario
è grigia. Si hanno casi di minzioni in barattoli di marmellata vuoti
e abnormi utilizzazioni di una vecchia camera d'aria tagliata come scarico
di fogna.
La giornata trascorre nell'ozio forzato, e verso sera
si verificano i primi casi di allucinazioni da immobilità coatta.
Solo verso sera tardi gli scrosci rompono una continuità
che dura dalla notte e per un paio di volte non sentiamo più il
caratteristico picchiettio sui teli. Nel frattempo viene presa la solenne
decisione: abbandonata ogni idea di fuga con ripiegamento su S. Bernardo,
ci accingiamo a trascorrere un'altra notte di tregenda nel Tendo già
duramente provato.
La grappa è finita, ci sono sgocciolamenti dappertuto,
l'umidità aleggia a saturazione, la pioggia cede ai temporali,
i cui lampeggiamenti ci fanno strizzare, il vento infuria e fa un freddo
boia.
Lunedì 30 agosto 1976
Colle Garezzo - Briga Marittima , km. 27
Alla sveglia, barbellando, ci accorgiamo che la nostra
costanza è stata premiata: non solo per gran parte della notte
non ha piovuto, ma addirittura il sole splende all'esterno. L'aria è
netta, ed a valle si vede un immobile mare di nubi. (v. foto)
Si verificano scene di gaudio animalesco, e ci permettiamo
persino una colazione a base di latte fresco, acquistato tra mille reticenze
presso i due mandriani molto ospitali che già sabato ci avevano
pretestuosamente negato l'alloggio nel loro fieno.
Per festeggiare e fare asciugare la roba partiamo che
sono già le 11. Al passo, un panorama circolare fa tornare in circolazione
e in piena attività macchine fotografiche e cineprese. La strada
che segue, in costa per chilometri e chilometri, tra i 1500 e i 1700 metri,
con fondo decisamente migliore della salita, è fatta apposta per
godere e noi ce la pigliamo comoda. Passiamo la dogana italiana in
maniera molto informale (finanziere in zoccoli e dolcevita).
Dopo il passo della Guardia
(m. 1461) e il Passo di Colle Ardente (m. 1601), ci fermiamo alla Colla
Sanson (m. 1696), (v. foto)
dove comincerà la discesa in terra francese.
Visto che l'ambiente promette, ci aggiriamo un po'
per i boschi, tornando con ottime prede tra porcini, lattari deliziosi
e vesce. Non ci attardiamo, però, visto che pian piano si sono
accumulate nuove nubi, ed è meglio non restare troppo in alta quota.
La discesa è presa comunque sempre alla trallallero, visto che tra
lamponi, fragole, funghi ed erbe rare siamo sempre fermi col naso nella
vegetazione. Arriviamo infine a Briga Marittima dove effettuiamo in breve
le spese per la serata e ci attestiamo nella ex stazione ferroviaria, disabitata
ma ancora pulita e in ottimo stato, per trascorrervi la notte.
Martedì 31 agosto 1976
Briga Marittima - Casterino , km. 18
Dopo un acquazzone notturno i nostri, soddisfatti
della notte passata tra muri di cemento e su morbidi materassi, si lasciano
andare a tirar tardi. Il tempo oggi appare buono.
A San Dalmazzo facciamo spese grosse per il lungo percorso
che ci aspetta tra i monti. Giorgio va fino a Tenda per acquistare le
bombole di gas per i fornelli. Ripartiamo che è quasi mezzogiorno,
ma --di buon passo-- in un'oretta siamo già al lago delle Mesce,
a buona altitudine, e poco avanti ci fermiamo su un torrentello dall'acqua
limpidissima per lavaggi e colazione. E' una vallata splendida e ricca
di verde e di acque questa, che conduce alla Valle delle Meraviglie, luogo
cosparso di iscrizioni preistoriche degli antichi Liguri. Il tempo perso
per la pioggia e altro non ci consente però una visita a qusto tipo
di "meraviglie". Ci accontentiamo di cinque meravigliosi "ombrelloni" che,
fritti, costituiranno la pietanza serale.
Il pomeriggio arriviamo in breve a Casterino dove termina
l'asfalto. Stabiliamo la tenda un paio di chilometri più avanti,
in posizione dominante sulla vallata, dove già si vede il percorso
che ci separa dalla fatidica "quota 2000" lungo la quale si snoda un percorso
che sarà --si spera-- il clou del nostro giro. Essendo arrivati
relativamente presto, Fausto ne approfitta per centrare bene una ruota
che in salita ha perso un raggio, mentre gli altri, a gruppi, si disperdono
per i boschi in cerca di compagnia per le lepiote, trovando solo funghi
poco pregiati e marci.
Ultima avventura della giornata, l'incontro con un
pastore che conduce 340 vacche al pascolo e verso mezzanotte le fa passare
per una strettoia al cui centro trovasi il Tendo. Risultato: un paletto
spezzato da una bestia malaccorta, notevole spaghetto da parte degli occupanti
e loro rapida uscita e trasformazione in mandriani per deviare la corsa
del mucchio selvaggio.
Mercoledì 1° settembre 1976
Casterino - Casterino , km. 2
Amara sorpresa al mattino: il cielo è mezzo
sereno e mezzo rannuvolato. Inutile aggiungere che, volendo optare per
una radicalizzazione, il tempo sceglie le nubi, che in breve si infittiscono,
si ispessiscono, rilasciano prima umidità e poi vera e propria pioggia,
inducendo i nostri all'usuale ritiro all'interno della tenda, peraltro
più precaria del solito per via del paletto rotto.
Verso mezzodì, solita uscita a dirigere le vacche
nel senso inverso per proteggere bici e tenda (o meglio, straccio inzuppato).
A questo punto, visto che già siamo bagnati, carichiamo armi e bagagli
sulle bici e ridiscendiamo al paese, dove una barista compiacente ci
permette di rimettere in sesto nel suo locale le ossa inzuppate.
Frattanto, suprema irrisione, il tempo si rimette in
quattro e quattr'otto sul bello, visto che tanto siamo così zuppi
da non poter ripartire in breve tempo. Giorgio, che per l'inazione
morde il freno, si allontana per passeggiare e tornerà solo dopo
ore, affermando di essere stato fin sul passo che dobbiamo fare, e di aver
visto panorami fino al Colle di Tenda.
Nel frattempo abbiamo trovato un comodo prato, lontano
da percorsi di mandrie, e stabiliamo la tenda. Sperando che il tempo
resti bello anche domani, andiamo a dormire prima del solito, al calar
del sole.
Giovedì 2 settembre 1976
Casterino - Monesi , km. 55 circa
Una giornata splendida ci appare al mattino: in tutto
il cielo azzurro non si vede una nuvola. Contenti, anche se infreddoliti
(tutti i prati intorno sono cosparsi di brina!), ci sbrighiamo nelle
operazioni di sveglia, colazione e partenza.
Il colle da ascendere (Baisse
de Peyrefique) è alto quasi 2100 metri, ma di buon'ora siamo in cima, sulle ali
dell'entusiasmo. (v. foto) Il panorama
è grandioso: dalla vasta insellatura erbosa si può vedere
da una parte il Monte Bego e le valli che lo circondano; dall'altra parte
il colle di Tenda (m. 1908) e la strada
che ci aspetta. Vista la lunghezza del percorso non ci attardiamo, conoscendo
anche la volubilità del tempo in alta quota. Proseguendo in
leggera discesa, siamo colpiti da un forte vento da sud, che pian piano
va accumulando nuvole sui nostri capi. Già al Colle di Tenda --dove
Paolo rompe il portapacchi per via delle vibrazioni sulla terra battuta--
si capisce che il tempo cambierà, e decidiamo tuttavia di proseguire
in quota.
Una dura salita ci porta al Colle
della Perla (m. 2083), dal quale, con un su e giù ardimentoso
tra gli edelweiß sulla strada sempre più evanescente, attraverso
il colle della Boaria (m. 2102), ci
portiamo di nuovo in Francia. Qui, visto che abbiamo tirato le due e mezzo,
decidiamo di fare uno spuntino in zona poco ventosa, attendendo di essere
al rifugio Barbera per qualcosa di più sostanzioso. Attraversiamo
una zona di doline,(il Marguareis, v. foto)
dove numerose macchine di speleologi testimoniano del carsismo della zona
(apprenderemo in valle che uno speleologo era rimasto ferito in grotta
e squadre di soccorso lo stavano portando su). [Sull'incidente, avvenuto il 29 agosto all'Abisso Cappa,
si può vedere una relazione
del Soccorse Speleologico]
Quando finalmente riattraversiamo lo spartiacque e
rientriamo in Italia (Colle del Lago dei Signori,
m. 2111), il fantomatico rifugio Barbera, con la complicità
delle nebbie che ormai hanno avvolto ogni cosa, svanisce e nella sua ricerca
ci portiamo così avanti da avere la sola soluzione di continuare
a pedalare fino a Monesi. Attendiamo sempre più impazienti la discesa,
che che però non viene mai. Dopo un bel po' dei pastori ci vendono
del latte e ci informano che siamo ancora sopra i duemila metri e che Monesi
dista oltre 20 chilometri. Per l'emozione Roberto fora e scopre di
avere il copertone anteriore stracciato dal percorso impervio.
Ormai il buio delle nebbie si confonde col buio del
tramonto. Lungo la strada non si trovano fienili e così ci tocca
arrivare fino in paese. Le ultime curve provocano cadute a ripetizione,
per fortuna senza conseguenze. Arriviamo alle otto e mezza nell'abitato,
dopo una tappa alpina forsennata, che --tra l'altro-- ci riporta quasi in
media col programma. Stanchi, affamati, infreddoliti e inumiditi, ci infiliamo
in un albergo deserto (è già bassa stagione) dove letti asciutti,
acqua calda in camera, minestrone, bistecche e genzianella della casa ci
rimettono rapidamente in sesto, senza attentare eccessivamente ai nostri
portafogli.
Venerdì 3 settembre 1976
Monesi - Ceva , km. 73
Il riposo è oggi protratto fino a tardi: pensiamo
di meritarcelo. Quando alle 10 partiamo, il tempo pare appena di poco
meglio di ieri sera. Dopo una breve e moderata discesa, la strada ci conduce
a salire fino ad un colle di circa 1650 metri, che dovrebbe essere l'ultimo
del giro. E' una strada dura, e per di più in terra battuta che,
umidiccia, si attacca alle ruote (sono in corso i lavori di asfaltatura).
Ciò pone in grave crisi psicologica Roberto, che, dopo gli strapazzi
di ieri, si ritrova con un copertone squarciato, tenuto insieme in maniera
precaria. Infatti nella discesa su Upega (sempre in terra sbattuta), è
di nuovo appiedato, e bisogna ricorrere a pezze da ciclomotore per rabberciare
ciò che sta per cedere. Ad Upega apprendiamo che il più vicino
ciclista si trova ad Ormea, sul fondovalle (ma almeno la strada è
ora asfaltata).
Tramite un ardito percorso inciso nella roccia strapiombante
e che --per non perdere quota-- presenta qua e là salite impreviste,
arriviamo a Viozene dove mangiamo in un piccolo parco-giochi della Pro
Loco. Non perdiamo tempo, anche perché le nubi stanno di nuovo
avvolgendo ogni cosa ed un vento gelido sta risalendo la valle.
A Ponte Nava la nostra rapida (vento permettendo) discesa
è interrotta dai primi goccioloni. Sotto un portico assistiamo ad
una grandinata che imbianca completamente la strada ed è seguita
da un temporale coi fiocchi. Roberto scalpita per arrivare a farsi
cambiare il copertone, e dopo un po', sbollito il peggio, ci rimettiamo in
viaggio abbondantemente avvolti nelle variopinte mantelle, sotto una pioggerellina
insistente.
Ci prendiamo gusto, e così, dopo la sosta tecnica
ad Ormea, ripartiamo e pedalata dopo pedalata arriviamo fino a Ceva,
come era previsto dal programma. La tenda viene posta su un prato
che è rimasto asciutto grazie ad un tendone che serviva da spaccio
bibite ad una festa del paese: per la prima volta montiamo "il Tendo in
un tendone".
Sabato 4 settembre 1976
Ceva - Valenza Po , km. 111
Sulla via del ritorno, esaltati dalle due tappe scorse,
e dietro lo stimolo di alcuni, desiosi di far ritorno alla propria magione
un po' presto, ci diamo dentro sugli ultimi su e giù.
Una discreta salitella ci porta in quota sopra Sale
Langhe, ma una breve discesa ci obbliga dopo poco ancora a salire per raggiungere
Mombarcaro. Da qui in poi seguiremo una cresta da cui si gode una veduta
che va dalle vette dove eravamo giovedì (oramai abbondantemente
imbiancate di neve!) al Monviso, al Monte Bianco ed al Rosa, che si stagliano
nella giornata limpida.
Mangiamo comunque già sul fondovalle, vòlti
a guadagnare chilometri sul programma. Infatti nel pomeriggio, sferzati
dall'andatura di Roberto, che rivela così la sua statura di passista
(e la sua voglia di arrivare presto a Milano), snoccioliamo chilometri
su chilometri, lasciandoci alle spalle le Langhe.
Ad Alessandria durante una breve sosta (all'insaputa
del battistrada) assistiamo all'arrivo del campionato mondiale donne,
suscitando una discreta reazione in Roberto al momento del ricongiungimento.
Ultimi screzi avvengono al momento di accamparci: c'è
chi vorrebbe trovare presto un buco dove mettersi (bisogna preparare il
risotto, che richiede tempo) e c'è chi continuerebbe a pedalare
fino alle tenebre...
Si opta infine per un prato ricco di zanzare sul bordo
della stradina, già nei pressi dell'abitato di Valenza Po, che
porta ad una lussuosa villa (la zona è piena di ville degli orafi
di Valenza), e che sarà percorsa nella notte da un andirivieni
di Mercedes, Alfette e macchinoni vari, probabilmente per feste del sabato
sera. E noi, che cuciniamo sulla strada, saremo spesso chiamati a smontare
tutta l'attrezzatura, compresi pentolone e fornello.
Domenica 5 settembre 1976
Valenza Po - MILANO , km. 86,2
Praticamente senza storia l'ultimo giorno: pedaliamo
nella pianura seguendo i pochi ma lunghi ed estenuanti rettilinei della
Lomellina. Unica avventura degna di nota, la puntura di Enrico in corsa
da parte di una vespa, prontamente rimediata grazie a pomate della farmacia.
Tutti --chi più, chi meno-- siamo d'accordo
sull'arrivare presto a Milano, perciò non ci concediamo molte
soste. Solo a Vigevano, forti di una lunga tradizione, ci arrestiamo
abbastanza a lungo per un gelatone, salutando Roberto che proprio non può
attendere e ci abbandona, chino sul manubrio disiando la dolce mogliera.
Pur con questa sosta anche il resto del gruppo arriva
per le due, archiviando per il 1976 il giro estivo.
F I N E
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