Giro Cicloturistico delle
Alpi e della Baviera
(Estate 1974)
Diario di viaggio del CICLASPIS
nelle ALPI E IN BAVIERA (1974)
[redatto dall'incaricato V. Brugnatelli]
Partecipanti:
Giorgio Ceffali, presidente onorario
Aurelio Marchesi, anziano guida (ex-vicepresidente)
Sergio Beillard, primino
Fausto Brugnatelli, anziano
Vermondo Brugnatelli, anziano guida
Enrico Groppo, primino
Paolo Moretti, anziano guida
Pietro Moretti, anziano
Eliseo Patriarca, anziano guida
Giacinto Renda, anziano
Chilometri totali: 1228,4
Sabato 3 agosto 1974
Milano - Gallivaggio, km. 123
Verso le sette e mezza di mattina, con il consueto sparuto
scenario di genitori con saluti e raccomandazioni --non ultima la mammetta
di Giorgio, alle prese con la sparizione delle chiavi della cantina-- i
nostri nove partenti (*)
lasciano piazza Wagner e Milano in direzione di Como. Nonostante
l'ora del mattino, si evidenzia ben presto quella che sarà
la caratteristica saliente di questa prima tappa: un'afa opprimente che
sul lago di Como farà strage di cicloturisti, che ben poco sollievo
ricevono da rare e tiepide fontane. Dopo la sosta di colazione
a Dongo, già in ritardo sulla tabella di marcia, anche nel pomeriggio
l'andatura è resa fiacca dalla greve cappa di piombo che ci opprime.
L'inizio della salita, a Chiavenna, è quasi un
sollievo, dal momento che la prospettiva di innalzarsi di quota ed uscire
dalla fornace per cui andiamo trascinandoci dal mattino allevia notevolmente
la pur non indifferente pendenza.
Il luogo del pernottamento viene reperito dai sigg. Moretti
--che in questi primi due giorni ci accompagnano in macchina trasportandoci
il bagaglio-- i quali ci procurano ospitalità in un prato adiacente
al santuario di Gallivaggio da parte del parroco locale. Si
tratta di un verde praticello di fianco ad una casa in cui è situata
in vacanza una colonia femminile sorvegliata da suorette, e le cui persiane
--notiamo casualmente-- vengono sbarrate con cura la sera.
(*) Per sapere chi mancava alla
partenza, premere qui
Domenica 4 agosto 1974
Gallivaggio (I) - Andeer (CH),
km. 40
Presa la messa nel santuario stesso, si parte un po' tardi,
forse, ma --sferzati dall'implacabile Moretti padre, che non concede prolungate
soste di abbandono e di ristoro lungo la salita-- ci ritroviamo per ora
di pranzo in cima al P.so Spluga (m. 2213).
Qui, salutati e ringraziati i genitori Moretti che fanno ritorno a Milano,
consumiamo un rapido pasto, accelerato anche dal frescolino che il vento
delle vette porta con sé. Qualche nuvoletta sorta dall'umido
delle pianure fa capolino oscurando di quando in quando il sole.
Nel pomeriggio, superato il confine, ci lanciamo in discesa, dove incrociamo
numerosi "colleghi" in sella o a piedi, intenti a scalare il passo dall'altro
versante. Vermondo ha rotto un raggio, ma con una breve sosta
la ruota è stata nuovamente messa in grado di funzionare.
Giunti sul fondovalle a Splügen, nella valle del
Reno, le poche nuvolette si sono raggruppate in modo piuttosto preoccupante,
e poco dopo comincia a piovere. Attendiamo che passi lo scroscio
più violento riparandoci dentro la rimessa di una Gasthof, sotto
la quale si rifugia anche una giovane coppia di cicloturisti olandesi in
salita, cui facciamo i nostri auguri. Tra uno scroscio e l'altro
ad Andeer con la coda dell'occhio notiamo il caratteristico cartello a
triangolo che indica la presenza di un ostello. E' dunque qui,
in un fienile adattato a dormitorio, che, per evitare peggioramenti del
tempo lungo la strada, ci fermiamo per la notte e gustiamo la prima di
tante pastasciutte comunitarie.
Lunedì 5 agosto 1974
Andeer - Bravuogn , km. 44
Discendendo la valle del Reno, in una tersa mattinata, essendo
stato spazzato via il maltempo dai temporali della notte, dopo alcuni chilometri
ameni ed immersi nel verde, ci inoltriamo per la Via Mala.
Qui il fiume si è scavato una stretta e profonda voragine sul fondo
della quale scorrere, e la strada è costretta a passare su arditi
ponti e gallerie che evidenziano le difficoltà naturali da superare.
Passata Thusis, la strada prende a salire. E' un breve strappetto prima
di Tiefencastel, ma è anche la prima salita col carico, e se si
aggiunge che il sole, tanto gradito di primo mattino, si è nel frattempo
alzato e comincia a dardeggiare, si può comprendere che ben accetta
sarà una breve sosta sulla cima, dove gli Svizzeri, previdenti,
hanno provveduto a collocare una fontana. Enrico
da buon primino si esibisce dimenticandosi una maglietta sul bordo della
vasca e ritornando a prendersela da Tiefencastel, qualche chilometro di
discesa più avanti, mentre gli altri sono intenti alle spese di
mezzogiorno.
Il pasto avviene --un po' sul tardi-- qualche chilometro
più in là, all'ombra di alti alberi sulle rive di un torrente.
Il luogo è così ameno che invoglia, prima di ripartire, ad
andare anche in cerca di funghi --contando sulla pioggiadel giorno prima--
il che avviene con discreto successo.
Ma il tempo e la salita incalzano: non si possono più
frapporre indugi. Ripartiti, così, --e rapidamente riparato
un guasto al cambio di Sergio__ si incomincia ad ascendere il passo Albula.
Nel primo tratto è veramente notevole ed impressionante lo strapiombo
sul fiume varcato a fatica dalla strada (che per far ciò accentua
non poco la pendenza).
Bravuogn, sede della nostra tappa odierna, si trova proprio
dove, cessate le difficoltà naturali, paesaggio e pendenza si addolciscono,
lasciando spazio a verdi e ameni prati, su uno dei quali, alquanto al di
sopra della strada, poniamo la tenda. Il pasto serale vede
come piatto forte un risotto coi funghi comunitario, nel quale vengono
cucinati i funghi trovati durante la sosta di mezzodì.
Martedì 6 agosto 1974
Bergün/Bravuogn - Zernez , km. 42,3
Il risveglio e le operazioni di smontaggio della tenda avvengono,
tutto sommato, abbastanza in fretta, grazie anche al timore di venire scoperti
e multati da zelanti gendarmi svizzeri (il campeggio sarebbe vietato in
tutto il circondario, salvo che in un luogo a pagamento).
La salita appare fin dai primi chilometri abbastanza ripida,
ma avviene per un buon pezzo all'ombra, cosicché non ci pesa, e
possiamo gustare appieno la bellezza del paesaggio: prati, alberi, fiori
multicolori e fontane sotto un cielo tersissimo. Ben diverso
appariva l'ambiente nel '68 quando già ill Ciclaspis passò
di qui, ma in treno e, sotto plumbee nubi foriere di tempesta, non poté
tanto fare caso a queste bellezze naturali.
Poco oltre un verde laghetto in cui si rispecchiano le
cime circostanti finisce l'asfalto e --insieme con la terra battuta-- ha
inizio anche un'epica competizione per procurarsi il primo posto su questa
vetta sinora inviolata dalle nostre ruote (P.so
Albula, m. 2312).
Per la cronaca riferirò che, approfittando di un
debole marcamento del primino Enrico, Giorgio Ceffali finirà per
sconvolgere il piano --peraltro perfetto-- della forte squadra della "Stollalac"
(distinguibile per il variopinto copricapo recante tale scritta) e spuntarla,
sia pure di poco, su un Vermondo reduce da strapazzi cittadini di ordine
extrasportivo.
Competitivamente o meno, rapidamente ci si ritrova tutti
sulla cima dove, espletate le formalità di rito (cartoline, patacche,
souvenirs ecc.) comincia la ricerca del posto ove mangiare.
L'idea sarebbe di restare in quota, visti gli stupendi scnari che ci circondano,
ma sulla cima tira un discreto venticello. Optiamo così
per un luogo poco più avanti in discesa, dietro un sopralzo del
terreno, dove teoricamente il vento non dovrebbe tirare. Visto
che poi invece praticamente tira lo stesso, finiamo di mangiare e subito
mandiamo a quel paese la sosta in quota e ci lanciamo verso zone più
temperate. Ci troviamo così nel primo pomeriggio nel
fondovalle, in Engadina (valle dell'Inn).
E qui, senza più il vento a confondere le idee,
ci accorgiamo di quanto tutto sommato il sole picchiasse in quota, vedendoci
qua e là bruciati (tipo gamberi) e sentendo strani formicolii un
po' dappertutto. Così anche Aurelio ha il suo momento
di gloria allorché tutti quelli che gli avevano dato dell'effeminato
per il suo cospargersi di creme olezzanti si recano in umile processione
da lui implorando qualche spalmetina che lenisca l'insopportabile dolore.
Siamo in ritardo per attaccare il Flüela, prossimo
passo, ma in anticipo per fermarci sul fondovalle. Ne approfittiamo
allora per una spesa grossa a Zernez e per montare la tenda con tranquillità,
in un luogo reperito dopo una lunga ricerca che ci ha condotti anche ad
esplorare i paraggi poco profumati di un porcile.
Mercoledì 7 agosto 1974
Zernez - Küblis , km. 55,5
Oggi la salita è già dall'inizio piuttosto soleggiata
e la scarsità di fontanelle contribuisce a farla soffrire più
di quella di ieri e apparire interminabile. Anche la competitività
viene accantonata, e ci si accontenta della contemplazione delle bellezze
naturali --sempre notevoli alle alte quote e qui esaltate dallo splendore
delle nevi e dei ghiacci.
Com'è, come non è, sul far del mezzodì
facciamo la comparsa sula vetta del Flüela
Pass (m. 2383), ben raggruppati e con un non indifferente effetto
scenografico sugli assonnati turisti, che però --prosaicamente--
rivolgono il loro interesse più al menù dei rifugi che non
alla carovana del Ciclaspis.
Incuranti di tutto ciò, dopo gli acquisti di souvenirs
di rito, ci stabiliamo sulle rive di uno dei due laghetti che sono sulla
sommità, per consumare il nostro pasto di mezzogiorno.
Tra l'altro, siamo entusiasti della mancanza di vento
freddo, il che --prevediamo-- ci permetterà di restarcene a lungo
a queste alte quote. Naturalmente, dop un po' saremo costretti
ad abbandonare per il motivo opposto, dopo aver rischiato di finire fritti
dal sole implacabile. Scendiamo così a Davos, nei cui
paraggi abbiamo intenzione di sostare. Facciamo la spesa nei
raffinati negozi di questa stazione turistica proletaria, e ci diamo da
fare per reperire un posticino di pochi metri quadrati su cui erigere la
tenda.
Valicato il Wolfgang Kulm (due brevi rampette fuori Davos),
cominciamo una ricerca col passare del tempo sempre più febbrile,
e che si concluderà solo 22 chilometri dopo, quando la strada sarà
finalmente scesa fino al livello del fiume: nel tratto precedente essa
è tutta a mezza costa su pareti che --ancorché non ripide--
non presentano quei pochi metri quadrati piani di cui abbiamo bisogno.
Disperati concludiamo la vicenda attendandoci in un prato
falciato da poco proprio sul bordo del fiume, dopo aver chiesto il permesso
ad un villico che --poco discosto-- è intento a tagliar l'erba da
un'altra parte.
Giovedì 8 agosto 1974
Küblis (CH) - Vaduz (FL)
- Feldkirch (A) , km. 59
La sveglia è oggi scandita dal picchiettio della pioggia
sui teli ella tenda. Siamo così costretti all'immobilità.
Immobilità nel vero senso della parola, perché i teli sono
sì impermeabili, ma fino ad un certo punto, e se li si tocca dall'interno
gocciolano nel punto dove sono stati toccati. Così non
ci si può muovere neppure all'interno della tenda.
Ovviamente i boccaloni non mancano, così che dopo
un po' il primino Enrico si trova con il suo posto allagato e --quel che
è peggio-- continua ad agitarsi, rendendo sempre più precaria
la situazione dei suoi vicini. Se si aggiunge che qualche telo
non ben controllato prima della partenza è bucato e fa acqua di
suo, si avrà un quadro abbastanza fedele della tragica situazione
in cui ci dibattiamo.
Perciò, durante una breve pausa della ggia, qualcuno
esce dalla tenda alla ricerca di ripari più solidi.
Viene così trovato un capanno di segheria sotto la cui capace tettoia
decidiamo di trasferirci.
E mentre il tempo non mostra di voler migliorare, ad Aurelio
--incidente per lui abbastanza frequente-- esce la spalla dall'articolazione.
Generalmente quando ciò avviene, Aurelio riesce da solo a rimettersi
in sesto. Ma oggi la faccenda appare più grave del solito,
e sembra quasi che si debba andare a cercare un medico che lo risistemi.
Quando già si sta maledicendo il destino che oggi
pare decisamente accanirsi contro di noi, ecco il tempo volgere al meglio,
ed ecco --con un'ultima smorfia di dolore-- la spalla che torna a far giudizio.
Non indugiamo allora, visti svanire i contrattempi che
ci hanno fin qui trattenuti, e ripartiamo in discesa fino a raggiungere
nuovamente la valle del Reno che avevamo abbandonato a Thusis.
Qui il fiume si è già formato un letto regolare circondato
da una vasta pianura. Noi comunque la seguiamo per poco, piegando
in breve sulla destra, dove, dopo la risalita di un conoide di deiezione,
ci attende una discesa verso il Liechtenstein.
La frontiera non è neppure tanto segnalata.
Poco prima del confine, abbiamo modo di assistere --proprio ai bordi della
strada-- a grandi manovre dell'esercito svizzero, che si svolgono con notevole
spiegamento di uomini e mezzi, e un gran fracasso di esplosioni --si spera--
a salve.
A Vaduz il consueto assalto ai negozi di souvenirs è
reso più veemente dal fatto che già nel '68 il Ciclaspis
passò di qui, ma proprio in un giorno festivo in cui i negozi erano
tutti chiusi, ed ora abbiamo ordinazioni di souvenirs anche da parte di
molti di coloro che --assenti in questo giro-- non poterono in tale occasione
far man bassa di patacche e ricordini.
Gli acquisti, esasperati anche dalla necessità
di finire tutti gli spiccioli svizzeri (stiamo per entrare in Austria),
ci fanno tardare, in modo che i temporali fin qui bene o male schivati
grazie ad una discreta andatura ci investono in pieno alla periferia di
Vaduz, costringendoci a frequenti soste, finché, rischiandosi ormai
di fare tardi all'ostello previsto per questa sera, decidiamo di sfidare
il maltempo, indossiamo le mantelline impermeabili e ci "immergiamo" nel
letto sradale per gli ultimi, sofferti chilometri di questa tormentatissima
tappa.
Varchiamo la frontiera dell'Austria che è già
buio. La ricerca dell'ostello è prolungata dal fatto
che l'intraprendente Enrico, forte del suo tedesco scolastico, si procura
informazioni che poi interpreta in modo approssimativo e per lo più
sbagliato. Se Dio vuole, nonostante l'ora avanzata, ci è
stata mantenuta la prenotazione, e in breve una sommaria lavatura ed un
buon pasto fanno sparire ogni ricordo delle difficoltà incontrate
in questa giornata.
Venerdì 9 agosto 1974
Feldkirch - Bregenz , km. 39
Una dormita in ostello, con la rassicurante certezza di avere
intorno quattro solidi muri, crea al mattino uno stato di euforico ottimismo.
D'altra parte, annullando una giornata di riposo a Davos abbiamo recuperato
il tempo perso nella prima parte del giro ed ora siamo in tabella di marcia,
con in più la prospettiva di dover arrivare a
Lindau --distante solo 50 chilometri-- tra due giorni, per attendere l'arrivo
in treno di Eliseo, costretto a Milano da impegni di lavoro.
Possiamo perciò prendercela comoda, favoriti anche dal tempo, che,
se non è bello, è comunque migliore di ieri.
Finiamo così per essere l'ultimo gruppo ad uscire
dall'ostello, e --perso altro tempo per centrare una ruota di Sergio--
partiamo che è già quasi ora di pranzo.
La strada è piana e comoda --si sta seguendo la
pianura che il Reno forma prima di entrare nel Lago di Costanza (Bodensee)--
e vediamo di mettere insieme qualche chilometro prima della sosta.
Abbiamo inoltre modo di scoprire a nostre spese che in Austria i negozi
chiudono alle 12, e non alle 12.30 come sipensava. Vanamente
ci aggireremo per le strade di Dornbirn cercando di far provviste.
Tutto quello che riusciamo ad ottenere è di riempire i bidoncini
d'acqua ad una fontana, grazie ad una prodezza di Vermondo che, sporto
in avanti con un braccio immerso nella vasca e l'altro proteso col bidoncino,
riesce a captare il getto altrimenti troppo distante. Alla mancanza
di provviste individuali si rimedierà con il risotto comunitario,
acquistato nei giorni precedenti e previsto per questa sera.
Dopo il pasto frugale, consumato al riparo di un casottino
semi-abbandonato, pochi chilometri di stradone conducono a Bregenz, sul
lago di Costanza. Qui si effettuano provviste e si decide di
sostare all'ostello. Questa volta arriviamo presto alla sede
di tappa, dove una calda doccia ed un buon pasto mettono tutti di buon
umore.
Verso sera ci godiamo una tranquilla passeggiata sul lungolago,
in tempo per vedere uno splendido tramonto sul Bodensee increspato da onde
di burrasca, e per svaligiare letteralmente tutti i baracchini che vendono
ricordi e patacche.
Quando facciamo ritorno all'ostello, è già
buio, e di fronte a noi, protesa in mezzo al lago, si vede tutta Lindau
illuminata.
Sabato 10 agosto 1974
Bregenz (A) - Lindau (D),
km. 11
Sempre più riposati --in buona misura grazie agli ostelli--
intraprendiamo una tappa ancora più riposante. Lindau è
sì oltre la frontiera, ma in totale dista solo 11 chilometri.
In men che non si dica vi giungiamo. Rapidamente
ci si disperde, chi a cercar patacche, chi a alla ricerca di un ciclista
(oggi, sabato, chiuso), chi ad informarsi sugli orari dei treni, chi a
visitare e fotografare il paese, chi infine a telefonare a Milano.
La sola seccatura è causata dalla solita imprevidenza
nel fare la spesa: alle 12.58 comincia a circolare la voce che alle 13
i negozi chiuderanno, e ci si lancia alla ricerca di qualcuno aperto.
Invano! Cronometrici come sempre, alle 13.01 i negozi sono
già tutti sprangati ad uno ad uno.
E' la carestia fino a lunedì? Stiamo già per abbandonarci
a questa tragica eventualità quando, in una oscura viuzza, viene
reperita una macelleria-salumeria ritardataria, che viene pressocché
saccheggiata da un'orda di cicloturisti voraci.
Tutto, sommato, però, è dopo una giornata
di quasi completo relax che Eliseo sopraggiunge in treno, accolto dalla
prima bevuta di fresca birra bavarese e da una festosa banda musicale.
A completare la pacchia si aggiunge il fatto che l'ostello, pur avendo
in precedenza negato la prenotazione, ora ci accoglie ugualmente, e non
c'è da trafficare per montare la tenda ecc.
La sera, per festeggiare il completamento dei ranghi,
viene passata in una Gasthof tracannando birra senza curarci dell'acquazzone
che imperversa all'esterno, premonitore di una giornata poco felice dal
punto di vista metereologico.
Domenica 11 agosto 1974
Lindau - Weiler , km. 33,5
Spiovazza, perciò è ben accolta la proposta
di prendere la messa subito dopo la partenza, al limite dell'abitato di
Lindau. All'uscita un vispo vecchietto, saputo che siamo italiani,
turba l'atmosfera ancora misticamente raccolta prorompendo in vivaci bestemmie
irripetibili, a dimostrazione della sua perfetta conoscenza del nostro
idioma.
La salita offre magnifici scenari sul lago di Costanza,
ma anche una pioggerella fastidiosa, che, in stridente contrasto con i
sollazzi dei giorni precedenti, provoca un certo malumore tra le nostre
file.
Incominciamo a percorrere le prealpi bavaresi, verdeggianti
di pascoli interrotti da numerosi boschetti e villaggi di campagna.
L'itinerario prevede per lo più strade in cresta,
il che dovrebbe far gustare meglio i panorami ondulati della zona.
In verità oggi l'unica cosa che apprezziamo veramente a fondo è
l'amplissimo porticato della chiesa di Lindenberg, sotto il quale troviamo
ricovero per pranzo.
Nel pomeriggio le precipitazioni cessano, ma l'atmosfera
resta molto cupa, e il rischio che riprenda a piovere è notevole,
così, per non correre rischi, ci ripariamo nel vicino ostello di
Weiler, abbreviando la tappa prevista.
Giunti così presto nel luogo del pernottamento
(affollato di bambini di una colonia, all'uso tedesco), c'è chi
--per non annoiarsi-- fidando nel tempo si avvia alla ricerca di funghi.
Inutile dire che di funghi non se ne vedrà neanche l'ombra, e per
di più l'acquazzone più forte della giornata si farà
beffe dei cercatori delusi. La serata viene comunque trascorsa
in allegria, dopo la cena servita in un'ampia sala adibibile a teatro,
con la disputa di epiche sfide a ping-pong e biliardo.
Lunedì 12 agosto 1974
Weiler - Wertach , km. 50
Un piccolo giallo movimento la mattinata facendoci ritardare
la partenza. Stiamo già montando il carico sulle biciclette
quando il Papà Albergatore si fa avanti pretendendo da noi una somma
di denaro e facendoci intendere che è per il ping-pong.
Pensiamo che si tratti del noleggio racchette e palline della sera precedente,
ma al momento di raccogliere il denaro tra quelli che hanno giocato (già
lamentandoci perché a prima vista tutto sembrava messo gratuitamente
a disposizione degli ospiti dell'ostello), l'entità della cifra
richiesta ci mette in sospetto. Oltre 20 marchi per un paio
d'ore di gioco ci sembrano esorbitanti, e allora cerchiamo di saperne di
più. A gesti e mettendo insieme frasi smozzicate, ci
rendiamo infine conto di essere accusati della sparizione di palline e
racchette, e che la cifra richiesta è il loro prezzo.
Una rapida perquisizione delle varie stanze a seguito
della nostra indignata protesta di innocenza porta in breve al rinvenimento
del materiale sottratto, che alcuni bambini si erano portati in camera
senza dir niente a nessuno.
Pronto dietrofront del Papà Albergatore che a questo punto si prostrerebbe
a lustrarci le scarpe se glie lo chiedessimo, e ci saluta con una cordialità
pari solo alla durezza usata pochi minuti prima nell'accusarci.
Finalmente in viaggio, riparato un guasto al cambio di
Sergio (sollecitato da una breve ma ripida rampa), ci buttiamo a far fotografie
a tutto spiano, dal momento che il tempo pare messo al bello.
[Percorrendo la Süddeutschalpenstrasse,
dopo Oberstaufen, passiamo lo spartiacque tra il Reno e il Danubio (v.
foto)]
Il pasto del mezzodì è consumato sulle rive di un ridente
laghetto nel quale sguazzano turisti in vena di apprendere l'arte di andare
in kayak.
L'ambiente è sempre pittoresco, e il pomeriggio
viene trascorso un po' pedalando e molto osservando i tipici paesaggi bavaresi.
Sui lati della strada si fanno sempre più frequenti le fontanelle
intagliate nel legno, e ad un certo punto passiamo anche dove le fabbricano,
in un luogo che sfoggia superbi esemplari.
Dop la spesa a Wertach, decidiamo di passare la notte
in due piccoli fienili sulle rive di un laghetto. Il risotto comunitario
è gustato insieme, e solo per la notte ci si divide, a seconda delle
preferenze.
Martedì 13 agosto 1974
Wertach - Ilgen , km. 48
Al mattino, dopo un breve procedere tra campi ordinatissimi
(siamo in Germania), iniziamo una lunga discesa che ci porta dapprima a
costeggiare ameni laghetti infestati da rubicondi bagnanti teutonici, e
in seguito alla città di Füssen. Qui si decide
di far visita al castello di Neuschwanstein, unico nel suo genere.
Facciamo così le spese in paese e ci dirigiamo
alla volta di tale località. La colazione viene consumata
presto in una foresta riserva quasi integrale, attraversata da poche stradette
in terra battuta percorribili solo a piedi o in bicletta.
Nel primo pomeriggio, siamo subito di fronte a due castelli
situati uno accanto all'altro. Il più antico esisteva
già da tempo quando il re Ludwig di Baviera nel secolo scorso volle
costruirsi una dimora come la voleva lui. In pratica si tratta
di un immenso balocco, con ogni stanza addobbata secondo i voleri regali.
In particolare l'amore per le opere wagneriane fa sì che si abbia
modo di vedere ovunque rappresentazioni di episodi della saga dei Nibelunghi,
e persino una stanza che simula una grotta.
La visita guidata è più che soddisfacente,
comprendendo anche una visione dall'alto della Baviera (il castello è
posto su una modesta altura) col suo aspetto smorbidone e costellato di
laghi.
Il pomeriggio va quasi tutto nella visita, e quindi facciamo
poca strada --sotto un sole infernale-- finché non ci mettiamo per
la notte in un fienile prossimo ad una Gasthof che sarà meta della
passeggiata serotina dopo cena.
Mercoledì 14 agosto 1974
Ilgen - Pullach , km. 81,5
Al mattino si fa tardi per via di una lunga e infruttuosa
ricerca del portafogli di Eliseo che sostiene di averlo perso nel fieno
(lo ritroverà giorni e giorni dopo in fondo ad una delle sue sacche).
A gran velocità si giunge per mezzogiorno allo
Starnberger See, un lago più esteso delle decine di altri della
regione, alle porte di Monaco, annegandosi nel quale pose fine ai suoi
giorni il sopracitato re Ludwig, il quale peraltro non doveva avere tutte
le rotelle a posto.
Quanto a noi, il lago ispira solo voglia di un sano bagno
per mitigare l'arsura. Dopo aver fatto anche colazione sulle
rive, prendiamo a costeggiare il lago seguendo una "stradetta astuta" che
la stradina segnala come "vietata al traffico motorizzato".
Non tardiamo ad accorgerci del perché: la strada è in via
di rifacimento ed ogni poche centinaia di metri bisogna scendere di bicicletta
e spingere a mano tra mucchi di terra e macchine escavatrici.
In qualche modo, comunque, giungiamo a Pullach, località alla periferia
meridionale di Monaco dove un antico castello adattato ad ostello ci accoglie.
In serata, primo assaggio della birra di Monaco.
Giovedì 15 agosto 1974
Pullach - Monaco - Pullach , km. 25
Giornata di quasi completo riposo oggi, dedicata alla visita di Monaco
e degustazione delle birre. Dopo un'affannosa ricerca del centro,
sbrighiamo la parte monumentale con una visita al duomo e ascoltando lo
scoccare del mezzogiorno all'orologio del municipio con tutte le statuette
in movimento.
Poi ci gettiamo sugli unici locali aperti (è ferragosto):
le birrerie, dove il caldo notevole ed i cibi tedeschi inducono una sete
che solo numerosi litri di birra possono placare.
E' così che il pomeriggio viene trascorso in un
parco dove cerchiamo di saltire l'annebbiamento dovuto alla birra.
La sera siamo di nuovo così in forma che --al Parco
degli Inglesi-- trovata una birreria all'aperto con tanto di banda musicale,
riprendiamo a ingurgitare birra stabilendo primati personali difficilmente
battibili. Sulla via del ritorno in ostello siamo anche duramente
ripresi da una pattuglia di Polizei, perché non potendone più
alcuni di noi hanno provveduto ad eliminare parte del liquido ingerito
in un'aiuola cittadina.
In ostello Vermondo si accorge di non avere più
con sé il portafogli evidentemente caduto dal portapacchi durante
il tragitto, e nella notte fa dietro-front per compiere un vano viaggio
alla sua ricerca fino al Parco.
Eliseo si dichiara "svaccato" e molti altri si trovano
in condizioni analoghe. La solita incontinenza del Ciclaspis!
Venerdì 16 agosto 1974
Pullach - Walchensee , km. 67
Dopo una lenta e faticosa sveglia, percorriamo pochi chilometri
quando Vermondo finalmente scopre il motivo di una persistente vibrazione
che da giorni si manifesta nella sua bicicletta appena superata una certa
velocità: il telaio presenta un'incrinatura nel suo tubo orizzontale,
Essendo problematico proseguire in queste condizioni, si cerca --e si trova--
un saldatore che possa chiudere questo guasto. Per questo motivo
--e data anche la generale spossatezza per le attività del giorno
precedente-- pochi sono i chilometri percorsi prima della sosta di mezzogiorno,
che avviene in un fitto bosco attraversato dalla pista ciclabile.
Dopo mangiato l'andatura si fa più decisa.
Tra dolci saliscendi si giunge al Kochelsee, laghetto sulla carta adiacente
al Walchensee, in realtà da esso separato dal Kesselbergjoch
(m. 850), passo di breve ma decisa salita. Dalla
cima godiamo di un vasto panorama sulla Baviera, ricca di laghi e torbiere,
che stiamo per lasciare per rientrare nella zona più decisamente
alpina, con fitti boschi, panorami maestosi e --ahimè-- salite a
volontà.
A Urfeld, al termine della discesa, non troviamo posto
in ostello --occupato dalla solita colonia-- e, grazie a un allungo di
Giorgio non da tutti condiviso, dobbiamo spingerci fino al paese di Walchensee
per trovare un luogo da tenda, proprio sulle rive del lago, in cui i più
coraggiosi azzardano gelidi bagni.
Sabato 17 agosto 1974
Walchensee (D) - pressi di
Buchen (A) , km. 43
Altri bagni seguono al mattino, per svegliarci meglio; dopo
di che partiamo tra valli amene alla volta di Mittenwald, cittadina nota
per i suoi artigiani, maestri nell'arte di fabbricare i violini.
Qui facciamo la spesa con gli ultimi marchi e ripartiamo diretti in Austria.
Il confine è in forte salita, e oltretutto ci vuole
tutta l'abilità mimica del Giorgio per distrarre (in italo-tedesco)
gli implacabili doganieri e far passare senza controlli Vermondo, che da
Monaco viaggia senza più documenti.
Dopo il doppio stress (superamento della dogana tedesca
e della dogana austriaca), ci rilassiamo in un punto più stretto
della valle, dove un ruscello offre ristoro dalla calura ed un praticello
ombreggiato ospita il nostro pasto. La sosta si prolunga piacevolmente,
e solo dopo che sono passate le ore più calde riprendiamo la salita,
prima dolce, poi, come s'usa in Austria, sempre più accentuata con
l'approssimarsi della cima.
Arriviamo a Platzl, un tipico villaggio austriaco, giusto
in tempo per trovare sotto una tettoia riparo dallo scroscio di pioggia
che l'arsura della giornata faceva da tempo prevedere.
Giunti infine in vetta a questo passo
senza nome [che ho scoperto in seguito chiamarsi Buchener
Sattel]
(m. 1262), poniamo la tenda in un punto che, a detta di Giorgio,
presenta lo spiacevole inconveniente di essere troppo vicino ad una curva
della strada, ed in effetti di notte le poche auto transitate provocheranno
patemi tra i più intrepidi, illuminando lungamente coi fari la tenda
(oltretutto mimetizzata completamente col prato nell'oscurità),
e svoltando solo quando già temiamo di venirne travolti.
Domenica 18 agosto 1974
Buchen - Sölden , km. 63
Dai primi tornanti della discesa si vede la valle dell'Inn,
ampia, bassa e avvolta da foschia, sulla quale picchieremo, e gli alti
monti che ci dividono dall'Italia (o meglio, dal Sudtirolo).
Né mancano emozioni lungo la discesa: Eliseo, per
esempio, riesce a forare, e, non pago, rompe anche le borse anteriori.
Sul fondovalle restiamo letteralmente schiacciati dalla
cappa di piombo che incombe sullo stradone infuocato, e per di più
siamo attardati da Giorgio, che ad ogni paese si eclissa con la scusa di
cercare gli orari della messa, e ricompare dopo mezze ore trascorse a far
fotografie.
Verso mezzogiorno oltrepassiamo Oetz, all'imboccatura
della valle omonima (Ötztal), che cominciamo a risalire.
Qui il caldo sarà --speriamo-- meno opprimente.
Quanto a ciò, ci rincuora quasi subito una cascata dagli spruzzi
refrigeranti.
La stessa salita non è ancora per il momento preoccupante.
Consumato un pasto in un ospitale Gasthaus, nel pomeriggio
si pedalicchia, alternando il procedere con fruttuose incursioni nei boschi
in cerca di funghi.
A Sölden siamo costretti a sostare in un camping
a pagamento, dove come sempre stupiamo i tranquilli turisti con la nostra
consumata abilità e rapidità nel montare il Tendo.
In serata, con la scusa di andare alla Messa, scorrazziamo per il paese
a bici scariche.
Lunedì 19 agosto 1974
Sölden (A) - S. Leonardo
in Passiria (I) , km. 53
Dopo un po' di spese, partiamo di buon'ora, avendo da superare
un discreto dislivello. La strada è spesso ripida anche
perché ogni tanto presenta delle inopinate discese.
Paolo Moretti si esibisce in scene di barbonaggio quando,
essendo stato tamponato da un'auto di turisti austriaci, viene tacitato
con 100 scellini, tra l'invidia generale.
Con una vista crescente sul ghiacciaio del Gurgl, nella
Gurgltal, passiamo da Untergurgl, Obergurgl e Hochgurgl, dove (terminato
il rischio di annegamento) la strada si accorge di essere salita troppo
e prende a scendere vorticosamente per un paio di chilometri, in modo che
gli ultimi chilometri abbiano una pendenza come si deve.
Sostiamo brevemente per mangiare in zona ventosissima
ancorché soleggiata, e nel primo pomeriggio terminiamo l'ascesa
fino alla vetta del Timmelsjoch, o Passo del Rombo
(m. 2478, 2483 o 2509 a seconda delle cartine).
Quest'ultimo tratto è teatro di un'epica e fino
ad oggi discussa e misteriosa competizione tra i due "veci" (Giorgio e
Aurelio), che --andando col suo passo e lanciando Jodler l'uno; correndo
all'inseguimento l'altro-- giungono (forse) appaiati, non si sa bene se
sfiatati o in piena forma, battendosi --pare-- pacche scambievoli sulla
schiena in segno di amicizia.
Il curioso è che da allora ognuno dei due, interrogato
a proposito, fornirà particolari leggermente contrastanti con l'altro,
a tutto scapito della chiarezza nell'esposizione dei fatti.
In cima, comunque, ogni contrasto va nuovamente subordinato
all'esigenza di distrarre i doganieri per far passare inosservato Vermondo
(la cima segna il confine tra Austria e Sudtirolo). Giorgio
cerca così di farsi spiegare l'orografia locale additando cime innevate
e chiedendo lumi ai carabinieri, che peraltro paiono più esperti
della geografia italiana da Napoli in giù.
Il colpo comunque riesce; anzi ci facciamo amico un brigadiere
chiacchierone che ci accompagnerà in discesa --con le dovute soste
in tutti i bar incontrati-- e ci indicherà un posto da tenda a S.
Leonardo, vicino alla casa che fu di Andreas Hofer, l'eroe nazionale tirolese,
rassicurando nel contempo la popolazione locale che, dopo la strage dell'Italicus
e la scoperta dei campi paramilitari, sembra non apprezzare la presenza
in zona di tende mimetiche come la nostra.
Martedì 20 agosto 1974
S. Leonardo in Passiria - Laas (Lasa) , km. 61,2
Al mattino, la lunga discesa su Merano viene ancor più
prolungata da una foratura di Sergio, che ci impiega un bel po' a ripararla.
A Merano molto tempo va via per acquisti e per di più
un altro carabiniere --nei pressi della cui caserma abbiamo lasciato le
bici-- ci attacca un altro formidabile bottone. Quando infine
ce ne liberiamo, vedendo che comunque non riusciamo ad uscire presto dal
paese, ci sistemiamo in un giardinetto vicino alla ferrovia per consumare
un pasto frugale.
Nel pomeriggio al caldo bestiale si sostituisce un vento
furioso che ci obbliga a viaggiare lentamente e in colonna per offrire
meno resistenza.
Per uscire dalla conca c'è una leggera salita,
che viene superata penosamente. Continuiamo a pedalare poco
gagliardamente su e giù (più spesso su) per ampi conoidi
di deiezione (come dottamente ci spiega Giorgio, illustrandoci la morfologia
della vallata), interrompendoci solo ogni tanto per far provvista di frutta,
allungando le mani sugli alberi che costeggiano la strada.
A Laas decidiamo di far tappa, in un praticello di erba secca e alta che
c'è intorno alle rovine di una chiesetta diroccata, via di mezzo
tra una sceneggiatura di "viva Zapata!" e il sostrato preferenziale della
vipera Aspis.
Mercoledì 21 agosto 1974
Laas (Lasa) - 3ª cantoniera dello Stelvio , km.
40 ca.
Oggi è la grande giornata. Ci attende lo
Stelvio, sempre affascinante anche per chi più volte ha scalato
altezze ad esso superiori. Perciò ci portiamo presto
alla base della salita, e cominciamo a numerare i tornanti che mancano
alla cima. Con un groppo alla gola superiamo Trafoi, il paese
(udite! udite!) di Gustavo Thoeni.
La salita, anche se forte, è regolare e ci regala
panorami sempre più grandiosi sui ghiacciai dell'Ortles e del Gran
Zebrù. Per il pasto sostiamo brevemente alla cantoniera
posta proprio sotto alla bastionata finale.
Tutte le macchine che passano fanno ampi gesti di ammirazione
e di incitamento, il che lenisce non poco la fatica.
Nel pomeriggio, sotto una fine pioggerella confusa con
le nubi e la foschia, il gigante è domato. (P.so
Stelvio, m. 2757, tetto del Giro).
Ci concediamo una sosta ristoratrice con caccia alle patacche
tra turisti formato sci-estivo (e anche in questa occasione Paolo dimostra
di "essere furbo" ai danni di Giorgio, che resterà a bocca asciutta).
Senza attendere che si faccia troppo tardi cominciamo
la discesa, intabarrati nelle variopinte mantelline, senza forzare l'andatura
sull'asfalto viscido.
Incontriamo dopo poco la strada che scende dal Giogo di
S. Maria, al confine con la Svizzera, e ci fermiamo all'altezza della 3ª
cantoniera, nella valle del Braulio.
Qui una malga disabitata ci offre riparo per la notte
in alta quota, mentre una pastorella in una malga vicina ci procura ettolitri
di latte appena munto.
Giovedì 22 agosto 1974
3ª cantoniera dello Stelvio - S. Caterina Valfurva
,
km. 29
Causa freddo intenso la sveglia avviene più tardi del
solito. La discesa su Bormio è ancora lunga e difficoltosa,
ma
viene affrontata con la debita prudenza.
In paese, poi, per la gioia di essere nuovamente a contatto
con la civiltà, ci perdiamo in lunghi acquisti, fidando in una breve
tappa.
Infatti, facciamo appena in tempo ad arrivare a S. Caterina
Valfurva, quand'ecco la pioggerella di ieri farsi nuovamente avanti e costringerci
in una grande casa in costruzione per ripararci e consumare il nostro pasto.
Visto che il tempo non migliora (e che siamo in tabella
di marcia), si pensa subito di fermarsi per la notte. Il solo
dubbio è se cercarci quattro mura o rimetterci a montare il Tendo.
Quest'ultima soluzione viene poi scelta, approfittando di un bel praticello
e di qualche schiarita verso il pomeriggio avanzato. Vicino
a noi campeggia un pullmino Volkswagen che scopriamo essere di un nostro
amico speleologo milanese [Roberto
Potenza], in giro da queste parti per rilievi geologici.
Venerdì 23 agosto 1974
S. Caterina Valfurva - Forno Allione , km. 60
La sveglia è alle sei, volendosi oggi fare tanta strada. Dopo
qualche contrasto sulla divisione del latte comunitario, riusciamo a partire
col fresco, su una simpatica strada militare, in terra battuta, dapprima
tra fitti boschi e poi tra vegetazione sempre più rada, ruscelli
sorgivi e panorami ristoratori, confortati da un tempo meno bizzoso dei
giorni precedenti.
Il nostro amico con la scusa delle esplorazioni geologiche
continua a scortarci facendo la staffetta fino sulla cima, dove prenderà
numerose foto personali che andranno poi ad ornare per lungo tempo una
sala della
S.E.M.
Sulla cima, ornata di laghetti d'alta quota, dove tutti
--competitivamente o meno-- giungiamo abbastanza rapidamente, facciamo
le foto di rito (P.so Gavia, m. 2621),
e riusciamo anche a trovare patacche, benché il posto sia meno turisticizzato
dello Stelvio.
Con la discesa Enrico ci lascia, perché deve andare
dai suoi che sono in vacanza in Trentino e --tramite il Tonale-- pensa
di raggiungerli in giornata.
Siamo così in anticipo che possiamo fare tutta
la discesa prima di mangiare. E facciamo bene, perché
da questo versante la strada è molto brutta (vedremo automobilisti
aggrappati al volante ed al clackson procedere con gli occhi sbarrati,
lentamente e recitando litanie) e va fatta senza fretta; inoltre nel pomeriggio
il tempo si guasterà, ed è meglio affrontare il maltempo
sull'asfalto.
A Edolo prendiamo le prime gocce di pioggia e decidiamo
di cercare un fienile in cui ripararci. Naturalmente non ne
troviamo, e solo poco prima dell'inizio della prossima salita riusciamo
a porre la tenda nel solito sostrato preferenziale della vipera Aspis.
Sabato 24 agosto 1974
Forno Allione - Barzesto , km. 37,5
Dopo una nottata di discussioni tra gente che --stufa di salite--
vuole tornare direttamente a Milano, altri che vogliono continuare col
programma per massacrante che sia e incauti mediatori che propongono soste
balneari sul lago d'Iseo, la linea dura prevale. Si continuerà
a salire.
Favoriti dal bel sole, attacchiamo quasi subito la salita
che --completamente asfaltata-- ci porterà in una zona della Lombardia
poco nota ma veramente degna di essere vista. Una vallata ancora
incontaminata, verdissima per una vegetazione molto rigogliosa, tra cui
vengono particolarmente apprezzati dai cicloturisti gli spessi cespugli
di more. I pochi paesini sono abbarbicati sui fianchi del monte
e la strada fa i suoi bei su e giù per collegarli tra loro.
Incredibilmente tutti sono risorti e pedalano in allegria,
talché sul far del mezzodì la vasta insellatura erbosa del
P.so
Vivione (m. 1828) ci vede tutti riuniti. Non ci
fermiamo però per mangiare, visto l'aspetto collerico e inospitale
del gestore del bar sulla cima, dal Giorgio attribuito senz'ombra di dubbio
alla sua presunta appartenenza alla genìa dei cacciatori.
Poco più avanti in discesa troviamo il luogo adatto,
dove già allegre comitive del fine-settimana stanno prendendo il
sole.
Per non perdere l'allenamento (e per compiacere la tradizione)
nel pomeriggio, dopo Schilpario si rimette a piovere. Questa volta,
però, avvistiamo subito un fienile libero e vi ci installiamo.
Unica seccatura il fatto che ogni oretta circa compare qualcuno (sempre
diverso) che si spaccia per padrone o avente diritti, che ci squadra un
po' e --dopo averci ammoniti di non accendere fuochi-- se ne va lasciandoci
in pace.
Domenica 25 agosto 1974
Barzesto - MILANO , km. 122,9
Contrariamente al solito, oggi piove già dal mattino.
Tagliamo quindi la Presolana e caliamo per la Via Mala, avvolti nelle consuete
mantelle, verso la pianura.
Naturalmente è qui che Sergio, conscio dei frangenti,
trova il momento ideale per una foratura. Com'è, come
non è, arriviamo in pianura dove la pioggia si dirada e poi cessa.
Dopo i saliscendi successivi a Lovere, possiamo prendere
un'andatura più decisa, vista la lunghezza della tappa.
A Bergamo facciamo colazione in una trattoria come si
deve, coi bottiglioni di nostranello rosé.
Ad evitare che il finale si tramuti in ordinaria amministrazione
provvede Giacinto che, nel lungo rettilineo tra l'Adda e Gorgonzola, con
mossa da primino riesce a provocare la caduta propria e di Giorgio, con
le più vistose ammaccature che toccano proprio a quest'ultimo.
Al termine della tappa e del giro vi è --come nota
confortante-- il fatto che stasera non perderemo tempo a cercare un posto
per la tenda.
F I N E
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Link: Descrizione
di un giro cicloturistico da Monaco a Milano effettuato da due Tedeschi
nel 1988
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