"Morfologia verbale e ordine dei costituenti in semitico
e berbero"
in: A. Loprieno (ed.), Atti della 5. giornata comparatistica nazionale
[Perugia 13.3.1989], Perugia 1991, 19-33
Morfologia verbale e ordine dei costituenti
in semitico e berbero*
(Vermondo Brugnatelli - Università di Bergamo)
Le osservazioni che espongo in questa sede non sono per il momento che
una se-rie di riflessioni su diversi problemi connessi tra loro, come le
fasi più antiche di un "sistema verbale" camito-semitico (se mai ve
n'è stato uno in qualche modo "comune"), il comune retaggio pronominale
di queste lingue, la posizione degli indici-soggetto e, in generale, di ogni
altro affisso verbale riguardo alla tipologia dell'ordine dei costituenti.
Tutti questi problemi mi sembrano ancora lungi dall'avere soluzioni soddisfacenti
e incontrovertibili. Mi azzardo qui a rendere pubbliche le mie riflessioni
non perché sia giunto a conclusioni chiare ed univoche, ma perché
penso che solo ora esse comincino ad assumere una forma sufficientemente
definita per poter essere proposte ad un dibattito. In particolare, esaminerò
qui dapprima la situazione delle lingue semitiche, e successivamente passerò
in rassegna alcuni aspetti della situazione del berbero riguardo a queste
problematiche.
Una delle difficoltà che le lingue camito-semitiche oppongono alla
formulazione di ipotesi convincenti circa la configurazione della reciproca
"parentela" è l'eterogeneità delle componenti linguistiche
confrontabili. Volendo semplificare forse troppo radicalmente il discorso,
si può dire che a lessici e sistemi fonologici mediocremente o poco
confrontabili fa riscontro un sistema pronominale incredibilmente compatto(1).
Il sistema pronominale include naturalmente anche il sistema degli indici
di persona nel verbo, nei quali normalmente è agevole riconoscere antichi
clitici fossilizzati. (2)
A questo riguardo, però, troviamo un nuovo ordine di difficoltà:
confronti immediati tra i singoli sistemi verbali sono resi ardui dalla posizione
degli indici di persona rispetto alla radice verbale, posizione variabile
nelle diverse lingue, in un modo talvolta irriducibile. L'esempio più
immediato emerge dal confronto tra il sistema verbale egiziano (caratterizzato
esclusivamente da posposizione degli indici-soggetto) e quello semitico (in
cui, invece, sembrano primarie le due coniugazioni prefissali dell'accadico
e dell'etiopico, mentre l'unica coniugazione a suffissi è considerata
dai più un'innovazione).(3) Secondo il più recente lavoro
complessivo sulle origini dei sistemi verbali delle lingue egitto-semitiche,
ad opera del nostro ospite odierno (Loprieno 1986), nella preistoria delle
lingue camitosemitiche si delinea solo l'esistenza di "labili strutture morfologiche"
comuni, strutture da cui il sistema di coniugazioni è esplicitamente
escluso, se l'apposizione degli indici-soggetto ai temi verbali ha avuto
luogo in modo diametralmente opposto tra semitico ed egiziano. Dalla ricerca
di Loprieno si ricava dunque la conclusione che le basi comuni delle lingue
camitiche e di quelle semitiche rimandano a un'epoca che potremmo a questo
punto definire "antegrammaticale", anteriore cioè al fissarsi di una
morfologia verbale comune, e questa visione potrebbe essere ribaltata solo
a patto di riuscire a ricondurre a unità i differenti tipi sintattici
soggiacenti alla fissazione della morfologia verbale (con conseguente ammissione
di recenziorità per quegli sviluppi che contrastassero con la morfosintassi
così individuata).
Per rendere conto della macroscopica divergenza nella posizione degli indici-soggetto,
Loprieno ricorre alla tipologia dell'ordine dei costituenti,(4) che vedrebbe
una contrapposizione tra un semitico VSO e un egiziano SVO (5)
tale da giustificare la tendenza del primo alla prefissazione di pronomi
al verbo e del secondo alla loro suffissazione. Per giudicare la validità
di questa ipotesi non va però dimenticato che, ai fini della correlazione
di un tipo linguistico con determinate strutture morfologiche, la posizione
del soggetto rispetto al verbo viene generalmente considerata di minore importanza
rispetto alla posizione dell'oggetto, e questo già a partire dai primi
studi di Greenberg sugli universali linguistici connessi con l'ordine degli
elementi significativi. É la posizione reciproca dell'oggetto e del
predicato che determina la "direzione" di accrescimento delle strutture da
cui si originano, con l'andar del tempo, strutture morfologiche prefissali
o suffissali, mentre la posizione del soggetto in linea di massima non fa
che rispecchiare la maggiore o minore forza con cui agisce il principio di
topicalizzazione, che tenderebbe a collocare in posizione quanto più
possibile iniziale il topic (cfr. Antinucci 1977).
Elementi di netta contrapposizione tra lingue VSO e SVO risultano di fatto
assai difficili da individuare.(6) Si tratta infatti sempre di lingue con
costruzione "a destra", che notoriamente presentano, rispetto a quelle con
costruzione "a sinistra", una maggiore varietà di realizzazioni sintattiche
per via del contrasto esistente in esse tra il principio costruttivo, che
esigerebbe progressivi accrescimenti a destra del Verbo, dell'Oggetto profondo,
ecc. (>*VOS) ed il cosiddetto principio di topicalizzazione, che richiede
la formazione di un topic nominale ("soggetto") da collocare in posizione
iniziale, vuoi davanti ad ogni altro elemento della frase (> SVO), vuoi
davanti agli altri nominali (> VSO).(7)
Per entrare poi nell'argomento specifico che qui interessa, si può
osservare che la riconosciuta tendenza alla prefissazione delle lingue VSO
vale senz'altro per la morfologia nominale (preposizione + nome; costruzione
che vale anche per le lingue SVO), ma non per il verbo, nei cui confronti
riveste maggiore importanza --almeno a livello di prime e seconde persone--(8)
la posizione dei pronomi-soggetto, il cui agglutinarsi alla radice verbale
attraverso stadi intermedi di pronomi atoni e clitici (9) dovrebbe
dare origine a suffissi in lingue VSO e a prefissi in lingue SVO. Va comunque
ricordato che eventuali discordanze da questo quadro astratto dovranno sempre
essere vagliate caso per caso: la presenza di una coniugazione a prefissi
in una lingua VSO può sì indurre a ipotizzare che nell'antichità
il soggetto precedesse il verbo, ma non andrà automaticamente interpretata
come indizio di antiche strutture di tipo SOV, essendo compatibile anche con
strutture di tipo SVO (in poche parole, l'anteposizione del soggetto al verbo
non implica anche quella, tipologicamente più importante, dell'oggetto).
Partendo da queste premesse, e con tutte le riserve che implica l'addentrarsi
in un campo che potremmo definire "glottogonico", caratterizzato dall'impossibilità
di verifiche, rivolgiamo ora uno sguardo alla situazione delle lingue semitiche
riguardo alla coerenza delle loro strutture morfologiche con il tipo sintattico
VSO tradizionalmente ad esse attribuito.
1. L'ipotesi SOV per le lingue semitiche
Dell'ordine dei costituenti nelle lingue semitiche si occupa, in diversi
studi, Talmy Givón (10), che giunge a ricostruire per esse un
arcaico ordine SOV, che si adatterebbe a spiegare diverse incongruenze tipologiche.
Ricapitolerò qui di seguito le sue osservazioni, aggiungendo ulteriori
aspetti problematici sia a favore sia contro siffatta ipotesi.
Anche se il primo spunto all'ipotesi SOV viene dato dalla morfologia verbale,
i dati relativi al verbo (come si vedrà più avanti) sono suscettibili
di interpretazioni contrastanti. Per questo esaminerò anzitutto la
situazione nell'ambito del nome, per il quale è assodata una certa
costanza nelle corrispondenze tra morfologia e tipologia sintattica.
1.1. I nomi: declinazione e morfologia suffissale
Il dato più evidentemente in contrasto con una struttura VO è
costituito dall'esistenza di casi nel nome con morfologia suffissale. Se
Garbini respinge l'antichità di questo fatto qualificandolo di innovazione
(1984: 177 e passim), è però vero che tracce di una
flessione con posposizioni di origine assai remota (e diversa da quella nominale
in *-u, *-a, *-i), perlomeno a livello pronominale,
sembrano emergere sia nelle lingue semitiche sia altrove, per esempio nel
berbero.
Tra gli esempi semitici ricordo forme accadiche come: (11)
dove? = ajj-iki'am |
donde? = ajj-anum |
qui = ann-iki'am |
da qui = ann-anum |
là = ull-iki'am (12) |
da là = all-anum |
in cui è evidente un valore locativo (risp. di stato e di origine)
ottenuto con la suffissazione di due elementi, -iki'am e -anum,
apposti ad elementi pronominali interrogativi e deittici. Come forme analoghe
ricordo anche: antico accadico misshum: "perché?" (solo più
tardi: asshu minim), cui corrispondono forme straordinariamente analoghe
in berbero: cabilo acu-ger, chleuh mä-f, tuareg ma-full
"perché?" (lett.: "che cosa" + "per"/"su"). (13)
Sempre in accadico, ricordo i pronomi-oggetto con una terminazione in dentale
affissa a basi pronominali, come shuâti, ecc. (14)
al cui paradigma corrispondono le notæ accusativi ebraica ed aramaica,
nonché probabilmente anche 'iyyâ dell'arabo, e i pronomi
non soggetto del sudarabico epigrafico. Né mancano indizi in altre
lingue, come per esempio ar. 'ay-na "dove?" se, come sembra, da scomporsi
in una prima parte 'ay- comune al pronome interrogativo/indefinito
'ayyun seguita da un'antica posposizione
a valore locativo (corrispondente all'accadico ina?). Degna di nota
è pure l'esistenza, in diverse lingue, di elementi locativi suffissali
(indipendentemente dalla loro eventuale connessione etimologica): accadico
-u(m)/-ish, (15) ebraico -âh, berbero -i (16).
L'apparente arcaicità di tutti questi sistemi flessionali a suffissi
sembrerebbe giustificare l'assunto di un'arcaica fase di costruzione "a sinistra"(17)
, e altrettanto si può dire per i numerosi suffissi nominali diffusi
in tutte le lingue camito-semitiche, la cui remota origine sembra essere
un nome che fungeva da testa in un rapporto genitivale.(18) L'unica
possibilità alternativa, non esplorata da Givón e peraltro
difficilmente verificabile, è quella di innovazioni dovute a contatti
con lingue a morfologia suffissale con cui le più antiche lingue camito-semitiche
potrebbero avere avuto rapporti assai stretti (ricordo, a titolo di esempio,
la stretta affinità di forma e funzione tra il suffisso -ân
semitico e -ân, -ôn indeuropei e presenti pure
in ambito hurrita e micrasiatico).(19)
Meno rilevante mi sembra invece la anteposizione dei numerali al nome che
determinano, incoerenza tipologica già osservata incidentalmente da
Givón (20) a proposito dell'ebraico. Se essa può
difficilmente essere spiegata (come fa questo studioso) alla luce di una
reinterpretazione di antichi sintagmi genitivali in cui la testa era il numerale
e il nome il suo modificatore (21) , si dovrà piuttosto tenere presente
come, nella tabella costruita da Givón (1984: 202) la posizione dei
numerali rispetto al nome che determinano sia una delle caratteristiche meno
propense a conformarsi alle predizioni su base tipologica, e ciò probabilmente
sulla base della natura intermedia tra nome e aggettivo dei numerali stessi
(Brugnatelli 1982: 121 ss.).
1.2. Il verbo: indici di persona
Come si è già visto, l'ipotesi di un arcaico ordine dei
costituenti OV sembra adatta a rendere conto nel modo più semplice
dell'origine delle coniugazioni a prefissi caratteristiche di queste lingue
in cui, viceversa, la coniugazione a suffissi sembra sorta in un secondo
momento. Per spiegare queste ultime forme all'interno di lingue che egli
suppone SOV, come l'indeuropeo o le lingue semitiche arcaiche, Givón
riproduce in ultima analisi una teoria elaborata alla fine del secolo scorso
in ambito cuscitistico da parte di Prätorius e immediatamente adottata
da Reinisch (22).
Secondo tale teoria, le coniugazioni a suffissi in lingue verbo-finali sarebbero
sorte da strutture perifrastiche contenenti un verbo ausiliare (per lo più
una copula di consistenza estremamente ridotta) posposto a nomi verbali e
coniugato a prefissi. Una progressiva erosione fonetica di tale copula avrebbe
finito per dare un aspetto di suffissi agli antichi prefissi dell'ausiliare.
Veniamo così al più grosso problema contro cui ci si scontra
nei tentativi di ricostruire evoluzioni diacroniche sulla base di elementi
di morfologia. Le tendenze diacroniche indicate da diversi autori (già
a partire da Greenberg, e, in particolare, dai già citati Antinucci
e Givón) partono dal presupposto di evoluzioni parallele di categorie
linguistiche simili in lingue tipologicamente omogenee. In realtà,
sono molti gli elementi flessionali che non presentano storicamente evoluzioni
univoche (come potrebbe essere la trafila: dimostrativi > pronomi di 3.
persona > articoli > marche nominali).
Nell'ambito della morfologia verbale , in particolare, sono due le principali
fonti di affissi: i pronomi e i verbi ausiliari. (23) Ora, se
è verosimile che i pronomi tendano, in ultima istanza, a
ripetere la posizione dei nomi nella frase basica, (24) i verbi
ausiliari, in quanto "modificatori del verbo" tenderanno ad occupare una
posizione diversa rispetto al verbo. Quindi, nel caso di lingue OV i pronomi
(soggetto e oggetto) staranno prima del V, mentre gli ausiliari (e i suffissi
eventualmente da essi derivati) tenderanno ad essere posposti, e viceversa (25).
Da qui la duplice possibilità, per lingue OV come quelle cuscitiche,
di presentare coniugazioni a prefissi (< PRONsogg.
+ V) accanto a coniugazioni a suffissi (< V + AUS.), secondo la sopra
esposta teoria. Ma a questa stregua nulla impedisce di immaginare che il
procedimento inverso abbia avuto luogo in lingue VO: prefissi da AUS. + V
e suffissi da V + PRONsogg. L'eventuale erosione
fonetica di un ausiliare "essere" di dimensioni, si deve supporre, ridottissime
non può essere seguita nelle lingue storicamente attestate e ci si
deve quindi affidare più ad atti di fede che a conclusioni ragionate.
E' più che mai attuale anche per i semitisti il richiamo che M. Cohen
(1927: 194) rivolgeva agli studiosi di lingue cuscitiche: "il est toujours
malaisé d'interpréter des éléments courts à
moins qu'une série de formes intermédiaires ne permette de
les comparer sûrement à des éléments plus longs
connus par ailleurs ou que leur rôle ne les désigne comme équivalents
d'autres éléments courts, eux aussi clairement connus."
Riprenderemo più avanti, alla luce anche dei dati berberi, la situazione
degli indici-soggetto.
1.3. Il modo "congiuntivo".
Secondo le osservazioni di Antinucci (1977: 155), in lingue che costruiscono
a sinistra "le congiunzioni subordinanti potranno apparire come suffissi
del verbo subordinato", in seguito ad una reinterpretazione di questi morfemi.
Sulla base di ciò, i "congiuntivi" accadico (in -u) e arabo
(in -a) andrebbero tipologicamente ascritti ad una fase di costruzione
a sinistra.
Si dà però il caso che morfemi suffissali di "congiuntivo"
possano nascere anche in altri contesti sintattici, che non richiedono il
ricorso a spiegazioni sulla base di un ordine OV. Come mi è capitato
di osservare a proposito di un "congiuntivo" berbero diffuso nei parlari
orientali e caratterizzato dalla posposizione di una vocale -a (Brugnatelli
1986), è assai verosimile che questo suffisso derivi da una "ripresa"
mediante un elemento pronominale, all'interno della subordinata, del nominale
coreferenziale presente nella principale, nel qual caso un ordine VO sarebbe
sufficiente a spiegare queste forme. In una proposizione come
shumman cossero |
ksûm carne |
wa quella |
yerfîc-a portò-CONG. |
("misero a cuocere la carne che aveva portato"), si può rilevare
la notevole analogia formale con la corrispondente frase araba
shawaw cossero |
il-lah'ma la-carne |
l-lâdî che |
h'amala-hu portò-essa. |
1.4. Forme derivate
I medesimi problemi incontrati riguardo alla posizione degli indici di
persona si presentano al momento di considerare la posizione dei morfemi
di causativo s e di riflessivo/passivo t nel verbo semitico
(e il discorso vale anche per egiziano e berbero). Morfemi di causativo derivati
da verbi (p. es. "fare" > "far X-are") sono prefissali in lingue VO e
suffissali in lingue OV (26). Lo stesso Givón riconosce però
che "causative affixes may also arise from an object nominal source, and
when that is the case, OV languages would yield causative prefixes and VO
languages, suffixes" (27). Stesso discorso per il passivo: i morfemi
da ausiliari ("essere" + participio di stato(28) ) si troveranno
in posizione inversa rispetto ai morfemi da pronomi usati come riflessivi
(e poi anche con valore "passivo").
Su queste basi, dovremo pensare che in semitico, egiziano e berbero causativo
e riflessivo/passivo derivino da verbi ausiliari in un'antica fase di tipo
VO o da pronomi in una fase OV. E quest'ultima è una eventualità
da non trascurare: fermo restando il discorso della congetturalità
delle ricostruzioni a partire da elementi foneticamente così poco
consistenti, osserverò solo che le stesse consonanti s e t
del causativo e del passivo caratterizzano in berbero i due pronomi di
terza persona (sg. e pl.) affissi ai verbi con valore rispettivamente di
dativo ed accusativo (analogamente all'uso dei pronomi accadici in -sh
e in -t, p. es. shuâshi vs. shuâti),
che il causativo espresso con morfemi di origine pronominale suole presentare
questi ultimi proprio in caso obliquo (29), mentre il caso diretto del pronome
è tipico del (riflessivo-)passivo.
Da quanto visto fin qui, sembrerebbe dunque non inverosimile l'ipotesi
che la preistoria più re-mota delle lingue semitiche abbia conosciuto
una tipologia verbo-finale, anche se, come si è detto ripetuta-mente,
una ricostruzione siffatta non è esente da problemi.
2. La posizione del berbero
Per venire ora a considerare più da vicino la situazione del berbero,
si può innanzitutto osservare che allo stato attuale delle cose, non
tutti i suoi parlari possono essere definiti di tipo VSO, dal momento che
in alcuni di essi la frequenza di costrutti topicalizzati ha dato luogo ad
una regolarizzazione del tipo SVO. (30)
Quanto all'aspetto diacronico della questione, si osserva subito che l'ipotesi
di cambiamenti tipologici nell'ordine delle parole sembra accordarsi bene
con una particolarità morfologica abbastanza caratteristica dei parlari
berberi, vale a dire la presenza di numerosi morfemi "discontinui".
Per ricordare il fenomeno più appariscente e noto, il sistema di
classi nominali (maschile ~ femminile) è stato rimodellato a partire
da un sistema più antico a suffissi (presenti ancora da soli, p.es.,
nei numerali), con un successivo fenomeno di agglutinazione di antichi articoli
prepositivi, secondo quello schema che Greenberg (1978) ha ben dimostrato
essere diffuso in numerose lingue dell'Africa come fonte di rinnovamento
dei sistemi delle classi nominali. I morfemi tipici del maschile e del femminile
sono quindi rappresentabili in forma discontinua, con l'elemento prefissale
più "obbligatorio" e "trasparente" (meno soggetto ad usura in quanto
più recente), e l'elemento suffissale non di rado mancante:
masch. a-...-Ø (pl. i- ...-n) ~ femm. ta-...-t (pl. ti-...-in)
Un ulteriore ambito di uso di morfemi discontinui è la negazione, che molto probabilmente è stata un tempo ovunque di tipo discontinuo, analogamente alla negazione del francese ne... pas. (31) Questa costruzione, per la verità non molto frequente nelle lingue del mondo, non permette di inferire dati precisi relativi all'ordine delle parole sulla base dei morfemi di negazione. Tutto quello che recenti ricerche di Giuliano Bernini (32) hanno permesso di scoprire riguardo a questi costrutti è che essi sembrano particolarmente diffusi tra lingue di tipo TVX, cioè con preferenza per un elemento topicale collocato prima del verbo, il che è appunto un costrutto assai frequente in berbero. Tali negazioni discontinue sarebbero un primo passo verso la creazione di negazioni solo posposte, e non è casuale, a mio avviso, il fatto che l'unico parlare berbero che ha sviluppato tali costrutti (quello dell'oasi di Augila) sia uno di quelli che maggiormente hanno grammaticalizzato l'ordine SVO, rendendolo pressoché obbligatorio, e non più alternante con VSO secondo necessità pragmatiche.(33) Tutto questo, comunque, se da una parte può fornire utili informazioni sull'evolversi dell'alternanza VS/SV in berbero, dall'altra non è di alcuna utilità ai fini dello stabilire se esso abbia o meno conosciuto fasi verbo-finali.
2.1. Il verbo
Anche in ambito verbale non mancano fatti che possono far pensare a sopravvenuti
mutamenti di tipo sintattico, come i morfemi discontinui delle seconde persone,
(sing. comune e pl. m. e f.) e del "participio" (perlopiù invariabile
in i-...-n), nonché, nell'ambito della sintassi, la duplice
posizione possibile per i "satelliti" del verbo (pronomi e particelle spaziali),
che possono essere sia posposti sia preposti al nucleo verbale (34).
Per limitarci alla morfologia, e precisamente agli indici-soggetto obbligatori
con ogni verbo, l'opinione più diffusa è quella che il berbero
abbia "fuso" i due sistemi pre- e suffissali in un unica coniugazione che
comporta ora solo prefissi ora solo suffissi ora ambedue. (35)
Come può un fatto del genere essersi attuato? Purtroppo anche qui
non ci sorregge la trasparenza delle forme. Per quanto ci è dato di
capire, sia gli elementi prefissali che quelli suffissali rimandano senza
dubbio ad elementi pronominali, ma l'eventuale presenza di minuscoli ausiliari,
magari solo vocalici, non può essere esclusa a priori.
A priori non si può escludere che un tempo sia i prefissi che i
suffissi fossero rappresentati in una serie completa, anche se sono solo
i prefissi ad essere presenti quasi per ogni persona. Rispetto ai prefissi
verbali semitici mancano all'appello solo '- della prima persona --il
che non desta meraviglia, vista la corrispondenza Ø in berbero
delle laringali semitiche-- e y- della 3. pl., presente solo a Siwa.
(36)
Quanto ai suffissi, sono assenti ambedue quelli di 3. sg., nonché
quello di 1. pl., e non per tutti è facile pensare ad erosione fonetica.
Le persone indubitabilmente fornite di doppio contrassegno sono solo le seconde,
sia quella (comune) singolare sia quelle (m. e f.) plurali. (37)
E sono proprio le seconde persone, quelle più marcate morfologicamente,
a presentare problemi di ordine diacronico, per via dell'incertezza nella
ricostruzione della terminazione singolare: *-t sulla base della maggior
parte dei dialetti o *-k sulla base dei dialetti tuareg meridionali? (38)
Nonostante l'opinione prevalente sia fin qui stata quella di ritenere originaria
una dentale, a mio avviso la velare è favorita, e questo per diversi
ordini di considerazioni. Innanzitutto, l'unica motivazione ipotizzabile
per un'introduzione della velare in tuareg meridionale è una inusitata
analogia della prima persona (39), ma quello che mi sembra decisivo è
la situazione delle forme plurali. La terminazione -m(t) si spiega
infatti sulla base dell'alternanza, tipica del berbero, di suoni velari con
la semivocale w e con Ø (cfr. le due serie di pronomi
di seconda plurale -kem/-wen. e soprattutto il pron. affisso di 2.
sing. femm. -m, che corrisponde al pronome autonomo kem), mentre
poco o punto noti sono casi di scomparsa di t interna.
Se la velare è originaria, i suffissi di coniugazione berberi si
accosterebbero a quelli proto-semitici in -k assenti già in
accadico (40) ma attestati nella coniugazione verbale
in sudarabico (sia epigrafico, sia moderno), in etiopico e forse anche in
un dialetto cuscitico (41), e verrebbe esclusa la possibilità
che i suffissi siano originati da un ausiliare, che dovrebbe avere la t-
dei prefissi, (42) mentre si potrebbe veramente pensare
all'apposizione di pronomi (che nelle seconde persone sono a base k-)
ad alcune persone di un verbo precedentemente coniugato a prefissi (ed ad
antichi "aggettivi" nel caso dei "verbi di qualità", in cui è
sorta una morfologia solo suffissale). (43) La situazione
sarebbe così estremamente simile a quella rilevata in diversi dialetti
del Norditalia e della Svizzera, (tra cui il milanese) (44),
che hanno sviluppato (e poi incorporato nel verbo) pronomi clitici posposti
soprattutto nella 1. e 2. pers. sing. e nella 2. plurale, con una tendenza
alla differenziazione massima per le seconde persone, che possono così
presentarsi munite di duplice contrassegno morfologico (si veda l'identità
strutturale di mil. ti, te-dis-et e di berb. kecc', te-nni-d')
(45).
Questa concezione, per cui certe persone (soprattutto le seconde) tendono
a venire rideterminate anche pleonasticamente si presterebbe bene, a mio
avviso, a spiegare la comparsa di altri fenomeni analoghi (non necessariamente
collegati "geneticamente" con quelli berberi) come le forme semitiche a prefissi,
che nelle sole seconde persone presentano anche dei suffissi di chiara origine
pronominale, ovvero le forme di Tell Amarna ta-shappar-ta "tu
hai scritto", ecc. (46)
Come si vede anche dall'esempio dei dialetti italiani sopra ricordati,
la posposizione dei pronomi che danno origine a nuovi affissi di persona
è indipendente dall'ordine basico (SVO, da un latino tendenzialmente
SOV), ed il motivo è chiaro: il pronome posposto doveva avere in origine
una funzione pragmaticamente marcata, e in questo caso l'ordine non poteva
che essere diverso da quello "basico" (che è quello delle frasi "meno
marcate"). Queste considerazioni credo debbano renderci estremamente cauti
nell'inferire "ordini basici" dei costituenti in epoche arcaiche a partire
dalla posizione dei morfemi personali presenti nel verbo.
* * *
Ricapitolando, per finire, le conclusioni provvisorie fin qui raggiunte, vediamo che:
1) Un ordine dei costituenti verbo-finale non può essere escluso per le fasi più arcaiche delle lingue semitiche, anche se gli elementi a favore di questa ipotesi sono assai scarsi;
2) Tracce alquanto più consistenti di rinnovamenti sintattici sembrano emergere dall'esame del berbero, dove non solo la morfologia ma anche la sintassi presentano costrutti compatibili con un arcaico ordine OV;
3) Riguardo agli indici di persona nel verbo berbero, quelli prefissali sembrano più antichi, mentre i suffissi, non necessariamente estesi a tutte le persone, sembrano rimandare ad un'epoca più recente.
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(*) L'oggetto di questa comunicazione rientra nell'ambito di una ricerca finanziata dal M. P. I. (60%) su "Topicalizzazione e focalizzazione in berbero".
(1) Si veda Garbini 1984, 230: "l'elemento presemitico non ha dato agli africani altro che una serie di sistemi pronominali (Š). [In] una lingua camitica come l'haussa, Š in un insieme che non ha assolutamente nulla di semito-camitico brillano, come perle solitarie, gli stessi pronomi del babilonese e del geez".
(2) V., tra gli altri, Castellino 1962, 49 ss. e passim.
(3) La medesima prevalenza di coniugazioni a prefissi si riscontra pure nelle lingue cuscitiche, in cui le coniugazioni suffissali risalgono per lo più ad un'evidente innovazione a partire da costrutti peri-frastici (cfr., tra l'altro, Cohen 1927 e Zaborski 1975: passim e 164-5), anche se recentemente è stata rilevata la probabile esistenza di tracce di un'altra e più antica coniugazione a suffissi (cf. Banti 1987) .
(4) In partic. p.72-3, n.7, ma anche 15, 111, 152.
(5) Ma in Loprieno 1988: 33 la struttura basica della frase egiziana, dal punto di vista sintattico, viene riconosciuta essere di tipo VSO.
(6) Si vedano in proposito gli studi di Hopper (1986) e di Myhill (1985), sulla base dei quali emerge l'esistenza di un continuum VS/SV (più che di lingue strettamente SVO opposte a VSO rigido), con tendenza ad usare nelle costruzioni VS le forme più tipicamente verbali (con caratteristiche di maggiore "transitività" e più "foregrounded"), riservando forme più "nominali" o in qualche modo "speciali" del verbo ai costrutti SV (meno "transitivi" e più "backgrounded"). Interessanti anche le osservazioni di Tosco (1984), che individua una contrapposizione di fondo tra lingue con V "ad una estremità" (SOV, VSO), tendenzialmente sintetiche e con genitivi espressi con una semplice giustapposizione, e lingue SVO, più spesso analitiche e con morfemi genitivali indipendenti.
(7) Al contrario, le lingue con costruzione "a sinistra" tendono a presentare normalmente solo costrutti di tipo SOV, in cui non vi è contrasto tra i due principi sopra ricordati.
(8) Per le terze persone si può sempre pensare a morfemi nominali, senza interventi di veri e propri "pronomi". V. anche più avanti, n.23.
(10) 1976: 183-4; 1977; 1984: 201.
(11) Tutte espress. aA e aB; in seguito esse tendono ad essere usate con preposizioni di moto da luogo, ed assumono il valore di semplici avverbi di luogo (cf. von Soden 1952: 162 ss)
(12) Cfr. forse anche forme come ar. huna¤-ka? Né si possono escludere connessioni con le preposi-zioni k- (di vario significato) in mineo, sudarabico moderno e amarico, nonché con le posposizioni -ku del somalo e -ko dell'omotico (su cui v. Garbini 1984: 216).
(13) In berbero esistono numerosi pronomi interrogativi-relativi di struttura a prima vista "suffissale", come "dove", "dove?", cab. an-da, chl. mani-g, tuar. mi-g, ecc. In questi casi, non va comunque dimenticato che la struttura soggiacente è identica a quella delle frasi "relative", al cui inizio --immediatamente dopo l'eventuale supporto della relativa / pronome interrogativo-- vengono collocate le eventuali preposizioni che andrebbero riferite all'elemento coreferenziale alla principale, lasciato inespresso, p. es.:
ssng |
axxam |
dg |
yzdg |
conosco |
la casa |
in (cui) |
abita |
equivalente a
ssng |
axxam |
anda |
yzdg |
conosco |
la casa |
dove |
abita |
(Per la bibliografia sulla questione delle relative berbere, e per un esempio di congiunzioni subordinanti formate da un "supporto di determinazione" + "preposizione" in costrutti originariamente relativi, cf. Galand 1987).
(14) Lo stesso vale anche per i medesimi pronomi al caso obliquo, come shuâshi, ecc.
(15) Quest'ultima terminazione, in realtà con svariati usi, tra cui sembra prevalente quello dativale.
(16) Dialetti di Augila e di Ghadamès. Cf. Aikhenval'd 1985: 12, dove tale elemento -i viene considerato connesso con l'elemento finale di man-i "dove?" di numerosi altri dialetti, oltre che con altri morfemi di lingue cuscitiche.
(17) Cf. Givón 1977: 488-9, dove si osserva che ambedue le fonti di morfemi di caso (verbi seriali e nomen regens in costruzioni genitivali) concordano nel produrre prefissi in lingue di tipo VO e suffissi in lingue OV.
(19) Per un inquadramento di questa problematica v. Aspesi 1978 (in partic. 66-67) e 1984.
(21) Quanto più indietro ci si spinge nella ricostruzione della sintassi dei numerali semitici tanto più emerge che questi non reggevano affatto il nome in genitivo (Brugnatelli 1984), ma gli erano coordinati, ed anzi, la reggenza genitivale sembra essere un'innovazione in grado di rendere coerente la struttura di questi sintagmi con una tipologia di costruzione "a destra".
(22) Sulla genesi della teoria e sulla cronologia dei primi studi ad essa relativi, si veda M. Cohen 1927.
(23) Per la verità, soprattutto per le terze persone, che più frequentemente risalgono a semplici nomi (o aggettivi) sg. e pl., entrano in gioco anche le marche nominali, di numero e genere. Da questo punto di vista occorre contestare la perentorietà dell'affermazione, presentata come "totally incontrovertible" in Givón 1977: 482, secondo la quale "subject agreement paradigms always arise, diachronically, from anaphoric subject pronouns that eventually become bound morphemes".
(24) Ma, come si vedrà, la corrispondenza tra la posizione dei morfemi di persona e quella del soggetto secondo l'ordine basico dei costituenti non è sempre rigida: cf. in Renzi-Vanelli 1983 la situazione dei pronomi-soggetto in diversi parlari romanzi, che costruiscono morfemi suffissali pur avendo un ordine basico SVO.
(25) Nel caso delle lingue VO esiste però sempre una duplice possibilità per la posizione del soggetto (sia prima che dopo il V).
(26) Givón 1984: 234; v. anche la situazione bilin in Cohen 1927: 171. Notevole osservare come già in quest'epoca una mente lucida come quella di M. Cohen indicasse nell' "ordre des mots en couchitique"(ivi, 170) la causa della particolare morfologia verbale di questi parlari.
(27) In questi casi, solitamente il pronome appare in un caso "obliquo" (Givón ivi, n. 81).
(28) Preferisco questa espressione alla definizione tradizionale di participio "passato" o "passivo", in quanto non necessariamente tali participi sono definibili in termini di tempo o di diatesi.
(30) Si veda in proposito Aikhenval'd 1987:9. A questa problematica sembra rimandare anche il titolo dell'indagine di Choe 1985, cui purtroppo non ho potuto avere accesso in tempo per la stesura definitiva di questo lavoro.
(31) Si veda al riguardo Brugnatelli 1987.
(32) Per lo stato della questione rimando a Bernini 1987, in partic. p. 47, e alla bibliografia ivi citata.
(34) In verità, quest'ultima cicostanza mi sembra l'indizio più impressionante a favore di un possibile ordine SOV in epoche arcaiche. Si consideri, p.es., la seguente espressione significante "glielo dirà":
ad- as- t- y-ini
PARTIC.MOD. a lui esso egli-dirà.
(35) Cf. p. es. Vycichl 1952 e Prasse 1973: 10 ss.
(36) A titolo di ipotesi si potrebbe forse pensare a un relitto conservatosi nell'unico dialetto privo di "participi", la cui forma (i-Š-n), coincidente con quella ricostruibile per la 3. pl. nel caso di effettiva fusione delle due coniugazioni, sarebbe all'origine della scomparsa del prefisso negli altri parlari.
(37) La 3. pl. presenta al maschile -n e al femminile -nt, terminazioni identiche a quelle del pronome indipendente di 3. pl., che però non escludo fossero alla base anche dei morfemi di plurale nominale (oggi risp. -n e -in, forse < *-inn < *-int).
(38) Sul problema, v. Prasse 1973: 18 (B.3.),Galand 1973: 473 e Zaborski 1988, 181-2.
(39) Si vedano gli analoghi argomenti di Garbini (1984: 181) a proposito delle seconde persone in etiopico.
(40) Per la verità, in neoassiro sono attestate forme di 2. sg. e pl. con la velare, che Garbini (1984: 150) ritiene un'innovazione, con una presa di posizione tutto sommato antitetica a quella sostenuta poche pagine più avanti (180-1) a proposito di sudarabico ed etiopico.
(41) Burji; cfr. Banti 1987: 165
(42) Mi rendo conto che la soluzione qui prospettata, se risolve alcuni problemi, ne lascia altri irri-solti, soprattutto per quanto riguarda la cronologia relativa delle innovazioni. Per esempio: se i pronomi suffissati sono più prossimi a quelli "indipendenti", e quelli prefissati rimandano invece a forme probabilmente "arcaiche", è strano trovare in questi ultimi una t-, simile all'elemento che solo in un secondo momento sembra sostituire k nelle 2e persone indipendenti (Cf. Garbini 1984: 261-2).
(43) Estremamente esplicito, in proposito, è il caso di quei parlari della piccola Cabilia ricordati da Galand (in stampa), in cui i "verbi di qualità" sono coniugati per mezzo di veri e propri pronomi affissi.
(44) Al riguardo, rimando all'ottimo lavoro di Renzi e Vanelli (1983, in partic. n. 10 e 14), che presenta molti dati e generalizzazioni utili anche per una valutazione dei fatti berberi.
(45) A dire il vero, tra milanese e berbero è forte il parallelismo in tutte le persone del singolare: mil. mì, dis-i; tì, te-dis-et; lu, el-dis; lee, la-dis, berb. nekk, nni-g ; kecc', t-enni-d'; netta ye-nna; nettat te-nna, e anche se un'identità così totale è senz'altro casuale, ritengo meno casuali le coincidenze di prima e seconda persona.
(46) Si veda Banti 1987: 143 e n. 13 per una discussione sull'argomento e su possibili paralleli in altre lingue camito-semitiche.