Sinistra e non violenza
(Lettera al Corriere)

Caro Mieli,
sono d'accordo con lei che la non violenza ha scarso appeal nella sinistra. Ma non solo: anche i giornalisti fanno la loro parte. Le faccio un esempio: nella primavera del 2001 una regione dell'Algeria, la Cabilia, reagì con moti di piazza all'uccisione di un ragazzo da parte dei gendarmi, e i gendarmi spararono contro la folla facendo più di cento morti. Violenza, morti: qualcosa si mosse e perfino i media italiani, che di solito ignorano l'Algeria, dedicarono qualche articolo agli eventi. La cosa però non è finita lì. Da allora -e sono passati tre anni- quella regione è ancora "in rotta" col potere: non ha votato alle elezioni parlamentari e a quelle amministrative, e si appresta a non votare alle presidenziali dell'8 aprile. Un coordinamento spontaneo di rappresentanti dei villaggi (nominati dalle assemblee di villaggio come in epoche ancestrali) ha espresso in 15 punti le rivendicazioni di democrazia della regione ed è deciso a insistere finché il governo non le accoglierà. Un modello di democrazia spontanea "dal basso", in grado di resistere per anni alle sollecitazioni del potere (ora il bastone, ora la carota), è una cosa bellissima ma non violenta. Uniche armi: manifestazioni, sit-in e scioperi della fame. Non ci sono eserciti di liberazione o romantiche figure di subcomandanti. Risultato: non un giornale che se ne occupi, e questi coraggiosi democratici di Algeria sono del tutto ignoti agli Italiani e agli Europei. Dobbiamo dedurne che l'unico modo per far parlare di sé è passare alla violenza? Non sarà il caso che anche voi giornalisti vi facciate un esame di coscienza?

11 febbraio 2004