L'Algeria "dimenticata" dalla sinistra
Miti e cliché impediscono un deciso impegno a favore del movimento cittadino della Cabilia

Tizi Ouzou in berbero significa "Portella della Ginestra". E proprio come Portella della Ginestra in Sicilia, anche Tizi Ouzou, capoluogo della Cabilia (Algeria) ha vissuto nel recente passato episodi di grave repressione di Stato con numerose vittime barbaramente uccise per avere rivendicato pacificamente il diritto ad una vita più degna e ad una vera democrazia. Undici furono le vittime quel 1° maggio 1947 in Italia, più di 120 quelle che hanno perso la vita dalla primavera del 2001 a oggi in Algeria. Ma se gli eventi siciliani dopo mezzo secolo sono ancora oggi al centro dell'attenzione della sinistra e di tutti i democratici, su quello che è avvenuto ieri ed è cronaca di questi giorni in Algeria il disinteresse e la disinformazione sono pressoché totali. Quali sono le ragioni di questa stridente disparità di trattamento? Non saremo anche noi vittime di quel razzismo strisciante per cui i morti nei paesi in via di sviluppo "contano" meno dei "nostri"? In realtà penso che le ragioni di questo "disinteresse" siano molteplici, ed è urgente rendersene conto e superarle.

Un primo motivo, abbastanza banale, è la difficoltà di accesso alle notizie. Il governo algerino è molto attento ad impedire che i giornalisti stranieri vadano a ficcare il naso in Cabilia: li fanno scortare ovunque e in generale se li tengono ad Algeri o li inviano lontano da questa regione "ribelle". E non esitano a negare l'accesso a chi si mostra troppo desideroso di informarsi veramente senza passare attraverso i "filtri" ufficiali. Il solo giornalista che sia riuscito a recarsi sui luoghi, riportandone immagini e interviste di grande efficacia (ma purtroppo ignorate dal grande pubblico) ha potuto farlo "travestendosi" da turista, e in qualche caso addirittura "seminando" i suoi solerti guardiani. [Si tratta di Michelangelo Severgnini, autore con Karim Metref del documentario "Il ritorno degli Aarch", distribuito da Carta (visibile gratuitamente online)]
Comunque sia, questo fatto non è una scusa valida per giustificare la mancanza di informazioni. Anche se negli ultimi tempi si moltiplicano pesanti intimidazioni ai giornalisti e più o meno lunghe sospensioni di testate, in Algeria esistono diversi periodici locali che in generale permettono di avere un'idea di quello che avviene, anche attraverso le pagine elettroniche dei quotidiani.
    Ma al di là di questo dato di una difficoltà oggettiva ad avere notizie, diversi altri motivi di carattere "ideologico" hanno fin qui frenato un reale coinvolgimento delle forze progressiste nelle vicende della rivendicazione democratica della Cabilia. E' ora di rendersene conto, per avviare un consapevole ripensamento sulla questione.
Innanzitutto esiste una storica, malriposta, simpatia della sinistra verso il FLN, romanticamente visto attraverso le eroiche immagini della Battaglia di Algeri, benché i governi dell'Algeria indipendente abbiano sempre avuto, fin dagli inizi, un'evidente impronta autoritaria e militaristica. La guerra fu combattuta innanzitutto dal popolo algerino, ma questo popolo fu immediatamente preso in ostaggio dall'esercito "delle frontiere", quello che non aveva sparato un colpo ma si era scientificamente preparato, dall'estero, a conquistare e a tenersi il potere. E anche adesso, nonostante l'apparire di nuove sigle, questo potere è sempre saldamente in mano alla casta militare che lo detiene da oltre 40 anni.
Purtroppo, questo mito romantico dei governi algerini come legittimi eredi della rivoluzione è solo uno dei tanti cliché in cui molti, anche a sinistra, si adagiano acriticamente. Per l'Algeria esistono tanti radicati luoghi comuni.
Si parla di musica? Diamo spazio ai cantanti di raï, che oltretutto sono anche abbondantemente sponsorizzati dallo Stato. Mai sentito a un festival di sinistra un cantautore cabilo, Matoub, Ferhat, Djura, Oulehlou, ecc. E sì che le loro canzoni sono molto belle, e in più spiacciono al potere...
Si parla di femminismo? Il pensiero della sinistra va subito a Khalida Messaoudi, anche se da tempo questa "Algerina in piedi" come amava definirsi si è ormai comodamente seduta su una comoda poltrona ministeriale e, dimentica delle lotte contro il codice della famiglia, oggi si occupa di controllare, in qualità di ministro dell'informazione, che i giornali "privati" non disturbino troppo il manovratore...
E la Cabilia? Nel caso specifico della Cabilia giocano altri motivi di prevenzione basati sull'accettazione acritica di qualche cliché, tutti infondati ma ben radicati.
Il primo è la paura di separatismi e micro-nazionalismi come se fosse inevitabile che una minoranza possa portare avanti solo rivendicazioni di indipendenza per la creazione di un proprio mini-stato, attentando all'unità nazionale. Ovviamente i governi algerini enfatizzano molto, all'interno e all'estero, una pretesa volontà separatista della Cabilia, ma chiunque abbia una minima conoscenza oggettiva della situazione sa bene che non c'è nulla di più falso. I Cabili sono sì una minoranza linguistica che, nell'insieme delle rivendicazione democratiche, rivendica anche il diritto di usare in pubblico la propria lingua, ma sono da sempre attaccatissimi all'Algeria nel suo complesso. Le vittime cabile della rivoluzione furono da sole superiori a quelle di tutte le altre regioni algerine, e anche oggi in tutte le manifestazioni che contestano il potere la bandiera nazionale sventola dovunque.
Un secondo motivo inconscio è il timore assurdo di "indebolire" in qualche modo il mondo arabo —e in ultima istanza la causa palestinese— qualora si prestasse orecchio alle rivendicazioni di un popolo che arabo non è e non intende diventarlo. L'assurdità del ragionamente è evidente a chiunque provi ad analizzarlo in modo razionale. Ma a livello inconscio questa arrière-pensée c'è e non verrà mai superata se non la si porta alla luce. E' il sonno della ragione che, ahimé, genera dei mostri.
Per concludere, spiace dovere osservare che un altro dei cliché che più o meno inconsciamente prevalgono è quello legato all'idea che "il potere nasce dalla canna del fucile". La rivoluzione cui stiamo assistendo in Cabilia è una rivoluzione pacifica e democratica. Non ci sono movimenti armati o subcomandanti. Chi lotta usa solo la parola e, in casi estremi, lo sciopero della fame. E anche all'interno dei movimento non ci sono "capi" che parlino a nome di tutti, perché il movimento ha struttura orizzontale.
Insomma, prendere atto di quello che accade in Cabilia non è facile, richiede qualche sforzo per liberarsi da tabù e pregiudizi. Ma è estremamente importante che finalmente la voce del movimento cittadino cominci ad essere ascoltata anche all'esterno, in paesi che possono e devono vegliare perché l'Algeria si trasformi finalmente in un vero paese democratico.